È laureata in economia e commercio con il massimo dei voti ed è iscritta all’albo dei consulenti del lavoro, a quello dei dottori commercialisti e a quello dei Revisori dei conti. Anna Lepre (nella foto) è presidente regionale e interregionale del settore orafo di Confesercenti ed è giornalista pubblicista. Ha scritto insieme al padre, il cavaliere Giovanni Lepre, il libro “Settore orafo: normativa essenziale”. «Sono napoletana e fino all’età di cinque anni la mia famiglia è vissuta al Borgo Orefici, dove è nato mio padre e dove avviò la sua attività professionale. Mi ha raccontato che aveva lo studio in una stanzetta a casa dei suoi genitori, nonna Anna e nonno Mario, al quarto piano di un palazzo senza ascensore. L’arredamento era formato da una piccola scrivania e l’unica collaboratrice era sua sorella, zia Patrizia. Diplomato in ragioneria, nell’anno in cui sono nata si abilitò come consulente del lavoro. Oggi è anche dottore commercialista, revisore dei conti e docente di marketing e comunicazione delle imprese orafe presso la Lum Jean Monnet e “malato del Napoli”. Successivamente ci trasferimmo alla Riviera di Chiaia e in quel quartiere ho frequentato le scuole elementari. Le medie le ho fatte all’Istituto Santa Dorotea, a via Petrarca, mentre le superiori al Mario Pagano, per orientarmi verso l’attività di famiglia. Mi piaceva molto studiare ma amavo anche fare attività sportiva».

Quale?

«Sono stata sempre molto versatile ma ho privilegiato in ogni circostanza lo studio. Per questo motivo non mi sono mai “specializzata” in una disciplina. Durante le medie ho fatto nuoto al Circolo Posillipo. Ero brava e il maestro voleva che facessi agonistica ma io gli dissi di no perché avrei dovuto sottopormi ad allenamenti intensi che mi avrebbero sottratto tempo allo studio. Il tecnico ci rimase male e preferii abbandonare quello sport e mi dedicai alla ginnastica artistica in un circolo privato a Fuorigrotta. Mi distinsi anche in questa disciplina e la maestra dopo tre mesi mi propose di farmi partecipare ai Giochi della Gioventù. Ricordo che al mio rifiuto disse: “Dio dà il pane a chi non ha i denti”. La prese molto male, quasi come un’offesa personale, e capii che non potevo più continuare in un ambiente dove non mi sentivo a mio agio. Mi diedi alla pallavolo perché m’impegnava poco tempo e mi limitai a partecipare solo ai tornei scolastici».

Dopo il diploma in ragioneria s’iscrisse alla facoltà di economia e commercio. Com’è stato il suo percorso universitario?

«Prima di immatricolarmi mi concessi un lungo soggiorno estivo a New York, ospite di una mia amica. È stata una vacanza indimenticabile. Poi in autunno mi iscrissi a Monte Sant’Angelo, ma sono andata in facoltà solo per sostenere gli esami, favorita dal fatto che non esisteva l’obbligo di frequenza anche se i docenti gradivano che gli studenti fossero presenti alle loro lezioni. Anzi per qualcuno questa era condizione necessaria per ottenere il 30. Ricordo che a un esame mi capitò uno di questi professori. Mi disse che per principio non dava il massimo voto a chi non aveva partecipato alle sue lezioni, ma nel mio caso la sua coscienza gli impediva di rispettare la sua regola perché avevo risposto in maniera precisa ed esaustiva a ogni domanda: il 30 me lo diede. L’unica eccezione è stata la partecipazione alle lezioni di Diritto del lavoro».

Perché?

«Era una materia che non mi piaceva e oltretutto trovavo gli argomenti molto noiosi. Mi capitava spesso di addormentarmi mentre leggevo soprattutto la prima parte del manuale. Per evitare uno spiacevole scivolone che avrebbe sfigurato sul mio libretto incidendo negativamente sulla media, decisi di seguire il corso per costringermi a stare “sveglia”. Comunque una particolarità c’è stata nel mio metodo di studio».

Quale?

«Sotto esame “costringevo” il mio fidanzato, Claudio Palmieri, ad ascoltarmi mentre ripetevo a voce alta. Lui faceva giurisprudenza, capiva ben poco degli argomenti che esponevo, e si limitava di fatto a sfogliare il libro; ma per me la sua presenza rappresentava un importante supporto psicologico. Mi sono fidanzata con lui quando avevo sedici anni e dopo dieci anni ci siamo sposati. Abbiamo avuto due figli, Benedetta e Fabio. Si è laureato con una tesi in Diritto internazionale e lavora nel nostro studio dove si è ritagliato uno “spazio” importante».

Dopo la laurea ha iniziato subito a collaborare con suo padre?

«Ho cominciato circa un anno prima, quando studiavo per preparare la tesi sperimentale di laurea. Era un lavoro di ricerca perché l’argomento che avevo scelto riguardava il settore orafo che esprime la parte pregnante della nostra clientela. A quei tempi la bibliografia era praticamente inesistente per cui mi inventai un questionario con cui intervistavo gli operatori di quel mondo molto particolare impostato e regolato da relazioni complesse e variegate. La mattina andavo allo studio e il pomeriggio studiavo fino a notte avanzata».

Quando si è sposata con Claudio?

«Mi sono laureata il 26 luglio, giorno del mio onomastico e del compleanno di papà, e avevamo deciso di sposarci il 30 agosto successivo. Avevo scelto la chiesa di Sant’Eligio Maggiore, a ridosso della zona del Carmine, perché è essenziale come piace a me. Un giorno mentre con mia madre Mena stavo in giro per i numerosi negozi di articoli per bomboniere del Mercato, passando sotto l’Arco di Sant’Eligio, con lo sguardo cercavo la chiesa ma non la trovavo. A un certo punto rivolto a mamma dissi: “ma la chiesa dov’è?”. Non si vedeva perché era nascosta dalle impalcature che aveva eretto l’impresa incaricata dal parroco di restaurare integralmente l’edificio religioso. Il prelato aveva dimenticato di dircelo. Naturalmente non mi sarei potuta più sposare lì e cercammo un’altra chiesa. Pensammo a quella di Santa Maria di Piedigrotta che fortunatamente era disponibile. Mamma, anche per stemperare la tensione del momento, mi disse: “vedi è la Madonna di Piedigrotta che ti ha chiamato. Hai fatto nella sua casa la prima comunione e la cresima e ha voluto che ti sposassi anche lì”. Sta di fatto che le partecipazioni erano partite con l’indicazione della Chiesa di Sant’Eligio e io dovetti telefonare agli invitati, uno ad uno, per comunicare il cambiamente. Tutto comunque andò bene».

In tre anni ha conseguito due abilitazioni e l’iscrizione all’albo dei revisori dei conti.

«La prima come consulente del lavoro l’ho conseguita nel 2002. Ero incinta di Benedetta. Gli scritti li sostenni al Palapartenope a Fuorigrotta e ricordo che dovevo andare continuamente alla toilette, come capita alle donne in gravidanza. La seconda come dottore commercialista nel 2004 e, a seguire, l’iscrizione come revisore dei conti all’albo tenuto dal ministero di Giustizia. Poi, nel 2006, sembrò che tutto dovesse finire e precipitai nel buio più profondo».

Cosa accadde?

«Fummo travolti dall’immane tragedia della morte prematura di mio fratello Mario. Continuare a lavorare fu veramente molto difficile. In più dovevo garantire anche la continuazione dell’attività dello studio al Tarì che curava Mario. Ma il tempo, si sa, guarisce le ferite anche le più gravi. Le cicatrici, però, sono indelebili».

Di cosa si occupa la “Lepre Group”?

«Opera dal 1971 nella consulenza alle aziende del lusso e dell’artigianato di alta qualità. Il gruppo è composto dalla “Lepre Consulting” che è una società di consulenza fiscale, contabile, del lavoro e legale su misura per le pmi; dall’“Istituto di ricerca fiscale” che si interessa di analisi e monitoraggio della normativa vigente e delle sue applicazioni pratiche in campo fiscale, della giurisprudenza in materia e delle specificità inerenti le pmi e l’artigianato. ll presidente è mio padre che tiene periodicamente il “Punto” al Tg1 Economia; dal “Centro studi sul mercato del lusso” che è un organismo di ricerca dell’evoluzione strutturale e congiunturale di settori come alta moda, fashion, gioielleria e oreficeria, con periodiche elaborazioni dei dati attinenti natalità e mortalità delle aziende del lusso e l’andamento dell’import\export. Lo presiedo io che intervengo con continuità al Tg1 nell’analisi dei dati del comparto; dalla “Lepre Team Communication” che è una società di consulenza direzionale che assiste le aziende nell’impostazione e attuazione di strategie di sviluppo e di marketing, promuovendo l’immagine dell’impresa e dei suoi protagonisti attraverso l’utilizzo integrato di canali comunicativi e la multimedialità. Il presidente è mio padre mentre io sono la direttrice».

Lei poi si occupa, in particolare, di un settore nevralgico: la finanza.

«Quando nel 1999 iniziai a svolgere la mia attività professionale allo studio mi dedidicai, in modo continuativo, a fornire consulenza finanziaria in materia di accesso al credito e assistenza per l’individuazione dell’operazione di finanziamento bancario più adeguata alle necessità di investimento dell’impresa affiancando i nostri clienti in tutte le fasi. Con il team di collaboratori che ho selezionato nel tempo mi occupo anche di finanza agevolata che è complementare e non alternativa alla finanza ordinaria. Elaboriamo, quindi, il busness plan e cioè il piano d’impresa corredato da una parte descrittiva del progetto e da una parte economico-finanziaria relativa agli investimenti da sostenere al fine di rendere possibile la partecipazione a bandi o ad agevolazioni previste da norme nazionali, regionali o comunitarie».

Si interessa anche della selezione dei collaboratori.

«Negli ultimi anni sono tutte donne. Lo sottolineo perché nel nostro lavoro non è permesso sbagliare. Occorre metodo e precisione e in questo la donna non è seconda a nessuno».

Qual è lo “spazio” importante che si è ritagliato suo marito nello studio?

«Claudio ha un carattere estroverso, riesce simpatico ed è naturalmente capace di entrare in empatia con le persone. É nato per curare le pubbliche relazioni. Nel Gruppo si occupa di amministrazione e cura i delicati rapporti con gli enti esterni con ottimi risultati supportati anche dalla sua conoscenza approfondita del diritto».

Nella vita come nel lavoro cosa considera più importante?

«Oltre agli affetti per i propri cari, la concretezza: l’ho ereditata da mamma e papà. Averla consente di fare tutto. Grazie a essa credo di riuscire ad adempiere nel migliore dei modi al ruolo di donna, moglie, madre e professionista. Mi impongo di concentrarmi su quello che sto facendo in un momento senza distrarmi. Tengo nettamente separati i problemi che interessano le singole “realtà” in cui quotidianamente vivo. Se non fosse così correrei, tra l’altro, il rischio di compromettere anche i rapporti di coppia considerato che mio marito e io lavoriamo insieme».

Quando si sente maggiormente gratificata nella sua attività professionale?

«Quando il cliente apprezza il mio lavoro e ne rimane soddisfatto. A scuola una professoressa, nel giudizio di fine anno, mi definì una ragazza tenace. Questa caratteristica, unita a istinto, creatività e una forte memoria che ho sempre avuto, mi consente di risolvere questioni particolarmente complesse. Quando sono concentrata su un problema emetto involontariamente un suono particolare che cessa quando trovo la soluzione. Mio marito mi dice che il mio cervello sta “elaborando”».

Ha interessi particolari al di fuori del lavoro?

«Claudio e io siamo a lutto per la chiusura delle palestre. Quell’ora che riuscivamo a rubare al lavoro per tenerci in forma, prima che scoppiasse la pandemia, ci manca veramente molto. La nostra vita sociale, poi, è impostata sulla leggerezza. Questo vale per il teatro e il cinema, di cui siamo appassionati, e per i rapporti con gli amici».