Biagio Izzo, un artista a tutto tondo
di Mimmo Sica
Lun 29 Aprile 2019 20:22
Biagio Izzo (nella foto) è un artista che con pari bravura si divide tra teatro, cinema e televisione.
«Sono nato a Portici, penultimo di nove figli. Dopo il divorzio da Teresa, dalla quale ho avuto due figlie, Alessia e Valeria, ho sposato Federica Apicella e mi sono trasferito al Vomero. L’avevo conosciuta sul set di “TeleGaribaldi”. Era una delle due vallette. La chiamavo “la pupatella”. Da lei ho avuto altri due figli Martina e Raffaele».
Quando ha scoperto la vocazione per il teatro?
«Sono convinto che attori si nasce, poi nel tempo ci si perfeziona se c’è passione. All’età di 6/7 anni nel garage di casa organizzavo delle recite con i miei fratelli. Eravamo una compagnia, ci divertivamo e gli zii erano il nostro pubblico. Mi ispiravo ai racconti che trovavo sui libri di scuola soprattutto a quelli con le maschere di Pulcinella e Arlecchino. Recitavo e cantavo, anche canzoni un po’ scurrili: ero un macchiettista nato! Avevo la fissa di fare l’attore, telefonavo alla Rai di continuo e sistematicamente mi mandavano a quel paese ».
Qual è stato il suo “talent scout”?
«Ciro Graziano, il regista di una compagnia amatoriale. Mio padre lavorava all’Inail, nel settore amministrativo. Mi fece partecipare a una serata organizzata dal cral aziendale.Fui notato da Ciro che mi invitò ad andare a lavorare con lui al Don Guanella. Ho debuttato con un suo testo, “E doje facce ’e l’eredità”. In quell’occasione conobbi Ciro Maggio con il quale formai in seguito il duo Bibì e Cocò. Nel 1984 diventammo professionisti».
Insieme vi proponeste a “Ciao gente” condotta da Corrado.
«Venni a sapere che Corrado ospitava giovani comici nella sua trasmissione in onda su Canale 5. Andammo a Roma negli studi di via Nomentana e superammo il provino con un pezzo tratto dalla commedia di Graziano. Interpretavamo due personaggi che avevamo creato, Alfredo e Raffaele. La trasmissione andò in onda la sera del Festival di Sanremo. Praticamente la videro mia madre, mio padre e mia nonna. Ma fortuna volle che ci fu anche un quarto spettatore, un collega di mio zio Giovanni che lavorava in Circumvesuviana. Lo chiamò e gli disse che conosceva i Fatebenefratelli che tenevano un programma a Rete Sud. Si chiamava “Fiesta”. Gli propose di farmi andare ospite da loro. Andai e da una puntata me ne fecero fare tre. Lì incontrai Lucia Cassini che mi chiese di partecipare al suo “Guazzabuglio” ».
Come nacque il duo Bibì e Cocò?
«Peppino Attanasio, un cantante napoletano marito della mia prima sorella, si esibiva ai matrimoni e alle prime comunioni. Mi invitò a partecipare con lui a un raduno- sapettacolo organizzato da una radio libera. Portai un amico di scuola, Enrico Borrelli. Il presentatore, Mimmo Simpatia, ci disse che dovevamo presentarci con un nome d’arte. Io scelsi Bibì, che era il soprannome che mi aveva dato mia nonna quando ero piccolo. Enrico lo chiamammo Cocò. Dopo lo spettacolino il mio amico mi disse che quell’esperienza per lui era stata un fatto sporadico perché nella vita voleva fare altro. Quando conobbi Ciro Maggio diedi a lui il nome Cocò».
Nel frattempo continuava a studiare.
«Fino al diploma e cominciai a fare il montatore di infissi in alluminio anodizzato. Prima, poiché mio nonno aveva un’impresa di cotruzioni, ho fatto il fabbro, il marmista, il muratore, l’elettricista, l’imbianchinino».
Ritorniamo a Rete Sud. In quell’emittente conobbe l’imprenditore Tammaro e Alfonso Guadagni. Due persone importanti per il suo futuro di attore.
«Tammaro, un imprenditore di lampadari, chiese a me e a Ciro, cioè a Bibì e Cocò, di fare uno spot pubblicitario per lui. Nacque la famosa frase “a ro vieni do mare” che in pochissimo tempo diventò virale. Ci cercavano tutti. Alfonso Guadagni ci disse che “dovevamo fare” i matrimoni. Nel 1997, a uno di questi, accadde un fatto molto grave che segnò la svolta della mia carriera».
Ci racconti.
«Una sera al ristorante “la Fontanina” di Secondigliano, dove dovevo esibirmi con Cocò, arrivai per primo. Uno di quei “signori” di ambienti un po’ particolari si permise di darmi uno schiaffo perché per lui era arrivato tardi. Avevo sentito di episodi analoghi toccati a colleghi e mi ero ripromesso che qualora fosse accaduto qualche cosa del genere a me avrei smesso di esibirmi in matrimoni. Mantenni la promessa: sciolsi immediatamente il duo Bibì e Cocò e ritornai a essere Biagio Izzo».
E che cosa fece?
«Insieme a Mimmo Esposito, un giovane attore che aveva già lavorato con me, rilevammo il teatro Bruttini a Port’Alba, lo chiamammo Cabaret Port’Alba e mi misi a fare l’imprenditore teatrale. Abbiamo fatto provini a Paolo Caiazzo, Simone Schettino, Alessandro Siani e a tante altre giovani promesse. Organizzavamo anche spettacoli che andavano bene. Una sera venne Anna Maria Pugliese e ci informò che Gianni Boncompagni stava facendo i provini per la sua trasmissione “Macao” e cercava dei comici. “Tu hai tutti questi ragazzi perché non ce li porti?”, mi disse. Il conduttore doveva essere Maurizio Ferrini».
Accettò?
«Incaricai Mimmo di accompagnare i ragazzi ma lui replicò che senza di me non sarebbe andato da nessuna parte e che voleva che anche noi due facessimo il provino. Lo feci e fui l’unico ad essere preso di tutto il Centro-Sud».
Partecipò quindi a “Macao”?
«Fui scritturato per dieci puntate ma non ne feci nemmeno una».
Perché?
«Interpretavo il ruolo di un abusivo che schiaffeggiava il presentatore. Senonché due giorni prima di andare in onda Gianni Boncompagni cacciò Ferrini e lo sostituì nella conduzione da Alba Pairetti che si rifiutò di farsi mettere le mani addosso da me. Gianni mi mise da parte e il mio personaggio lo fece, al femminile, Dodi Conti. Ero pagato per dieci puntate e il contratto si rinnovava per un ugual periodo. Alla nona puntata, non sapendo più che cosa fare, insieme a Bruno Tabacchini, il mio storico autore, ci inventammo il personaggio di Ambrogio Esposito. Andai nel camerino di Boncompagni e lo trovai che stava leggendo il giornale. Gli dissi che era l’ultima puntata e che me ne sarei dovuto andare e gli chiesi di illustrargli “Ambrogio Esposito”. Tra i denti mi rispose: “Va bene”. Stefano Sarcinelli, uno degli autori, mi informò che sarei uscito per ultimo. “Se gli piace lo fai, altrimenti ti taglia” sentenziò. Gianni scese, mi fece l’occhiolino e Stefano disse: “non l’ha mantenuto perché non gli piace come sei vestito. Lo facciamo domani”. Il giorno dopo mi presentai in jeans e giubbotto e da lì è nato Ambrogio Esposito».
La sua vera passione, però, era il teatro.
«Volevo fare teatro a tutti i costi anche per amore di mio padre. Sognava che i suoi colleghi mi vedessero calcare le tavole del palcoscenico. Purtroppo nessuno mi voleva perché venivo dai matrimoni ed ero guardato con diffidenza. Devo ringraziare Benedetto Casillo se ci sono riuscito».
Perché?
«Un giorno mi disse: “vieni con me a fare “Il Turco napoletano”. Interpretavo il maggiordomo e dicevo due battute. La fortuna mia fu che vide lo spettacolo Rosalia Maggio. Calato il sipario, me ne andai tutto solo nel mio camerino al terzo piano del teatro Politeama. Sentii bussare alla porta, aprii e mi trovai di fronte la grande Rosalia. Mi disse: “guagliò ’o spettacolo è ’na chiaveca, ma tu si ’o meglio e tutte quante. Dammi il numero di telefono”. Mi chiamò per fare “Tre cazune fortunati” con lei e Giacomo Rizzo al teatro Cilea. Con lei ho fatto altre tre commedie e poi continuai con Giacomo Rizzo».
E suo padre?
«Purtroppo non vide che il suo sogno si era realizzato. Morì un mese prima del mio debutto. È il mio grande rammarico ».
Si sentiva oramai maturo per creare una compagnia tutta sua.
«La misi su e mi serviva un’agenzia. Trovai a Roma la Carol Levi & Company con la quale sto tuttora».
Quando è iniziata la sua brillante esperienza cinematografica?
«In verità il mio primo vero film risale al 1986. Erano gli anni d’oro di Maradona. Nino D’Angelo fece “I ragazzi della curva B” e chiamò Bibì e Cocò. La carriera cinematografica è iniziata, però, con Vincenzo Salemme che mi volle al suo fianco nel film “L’amico del cuore”. Interpretavo il personaggio del tassista. Poi tanti altri film insieme a Vincenzo».
Quindi i “cinepanettoni” con Filmauro. Come incontrò Aurelio De Laurentiis?
«Nel 1998-99 facevo “Telegaribaldi” con Gianni Simioli. Da Capri mi vedeva Aurelio De Laurentiis. Mi chiamò e mi volle incontrare a Roma. Il primo film con lui è stato “Bodyguard” nel 2000. Da allora ad oggi ne ho fatto circa cinquanta».
Dalla sua bella storia emerge che il 1997 ha costituito la pietra miliare nella sua vita di uomo e di artista.
«Senza quello schiaffo non sarei quello che sono, come uomo e come attore. La vita è strana e imprevedibile. Quella tremenda umiliazione, resa ancora più cocente perché per “fare” quel matrimonio avevo rinunciato a essere presente alla Prima Comunione di mia figlia Alessia, è stata la mia sliding doors».
Perché dice che il teatro è il suo habitat naturale?
«Mi piace interpretare personaggi e avere il contatto diretto con il pubblico. L’empatia che si crea con la platea, sentirsi l’attenzione degli spettatori “addosso” è frutto di una splendida alchimia: è il grande potere emozionale che deve avere l’attore. Se non ha questo magnetismo è meglio che cambia mestiere perché nel teatro non si può barare».
Quante commedie ha scritto?
«Una quindicina insieme al mio autore storico, Bruno Tabacchini».
Ha mai pensato a un genere diverso da quello comico?
«Ultimamente ho aperto un “file” sul sociale perché Lino Banfi mi disse: “tu devi provare a fare anche parti non comiche perché hai una faccia, un tono e una voce molto particolari. Ho riflettuto a lungo su queste parole e ho preso coscienza che il pubblico da me vuole non solo ridere ma anche qualcosa su cui riflettere. Con questa convinzione ho fatto il film “Come saltano i pesci” di Alessandro Valori. È molto drammatico e quando mi sono rivisto mi sono commosso».
Attualmente in che cosa è impegnato?
«Preparo lo spettacolo teatrale per la prossima stagione. Contemporaneamente sto completando la tournèe con “I fiori del latte” di Eduardo Tartaglia. Televisivamente chiuderò il 13 maggio prossimo “Made in Sud” che giunge alla decima e ultima puntata. A giugno dovrei fare una serie di dieci puntate con Mediaset ma non posso anticipare nulla. In estate porterò in giro “Autovelox”, una cabcommedia con Mario Porfito e Francesco Procopio».