Luigi Califano (nella foto), specialista in chirurgia maxillo-facciale e chirurgia plastica, è direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Testa- Collo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Dal 2014 è anche Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II.

«Ho vissuto tutta la mia vita a Napoli perché sono profondamente innamorato della città. Sono il primo di cinque figli e con i due fratelli e le due sorelle ho un rapporto particolarmente stretto Ognuno di noi ha scelto una strada diversa: io mi sono laureato in medicina, Roberto in economia e commercio; Giampaolo ha intrapreso anche lui la carriera universitaria ed è professore ordinario di procedura civile; Daniela è una biologa che lavora con grande soddisfazione e passione al Pascale; la più piccola, Marina, si è laureata in lingue e insegna inglese nelle scuole. Mio padre Giuseppe e mia madre Graziella ci hanno inculcato i valori fondamentali della vita e il ruolo centrale della famiglia. Ancora oggi continuiamo a vederci durante il fine settimana per poter pranzare tutti quanti insieme».

Perché dopo la maturità classica scelse di iscriversi a medicina?

«Fin da piccolo sentivo una piccola attrazione verso il mondo medico e il desiderio di seguire le orme di mio padre che era un chirurgo generale al primo Policlinico. Conobbi da studente Costantino Giardino, professore di chirurgia maxillo- facciale di questa università ed ebbi l’opportunità di confrontarmi con lui. Fui attratto dalla disciplina che insegnava e cominciai a seguire i suoi interventi chirurgici. Pensai che potevano rappresentare il futuro della medicina».

Per quale motivo?

«Già in quegli anni si pensava di eseguire interventi sulla faccia, sulla testa e sul collo che non solo avessero il ruolo di risolvere neoplasie, fratture, malformazioni, ma che ricostruissero anche le parti su cui si era intervenuti chirurgicamente per curare l’aspetto estetico del paziente operato. C’era un grande contatto con la tecnologia e con l’innovazione, per cui mi senti attratto da questo mondo e feci la tesi di laurea in chirurgia maxillo-facciale».

Innovazione in che senso?

«Gaetano Salvatore era il preside della facoltà e fu anche il presidente della mia commissione di laurea. Grande formatore. Egli ha dato un impulso internazionale alla nostra facoltà ed è stato anche colui che ha dato un importante contributo nel riformare gli studi medici con la famosa tabella 18 che ha completamente cambiato il metodo di formazione del medico. Con lui è cambiata l’organizzazione degli studi medici in Italia. Le discipline furono raggruppate in corsi compatti, nacquero i tutorati, i percorsi formativi venivano fatti all’interno dei reparti e arricchiti da periodi di stage all’estero. Era la prima metà degli anni ’80 e il Policlinico aveva un intenso rapporto di collaborazione con il National Istitute of Health, l’agenzia di ricerca statunitense di Bethesda, nel Maryland, dove molti andavano a perfezionarsi. C’erano anche importanti professionisti italiani e stranieri che venivano da noi. Tutte le discipline, grazie allo sviluppo dato da Gaetano Salvatore nella patologia generale, seguivano questa strada e tutti quanti crescevano, tanto è vero che in quegli anni sui giornali più di una volta numerosi articoli riportavano che presso la cittadella universitaria del Policlinico Federico II si stava realizzando un piccolo miracolo napoletano».

Conseguita la specializzazione in chirurgia maxillo-facciale, dove iniziò a operare?

«Ho conseguito anche una seconda specializzazione, quella in chirurgia plastica, e ho iniziato a formarmi, sotto la guida del professore Giardino, frequentando anche altre strutture di chirurgia maxillofacciale in diverse città italiane e partecipando a numerosi stage in vari centri all’estero. Questo mi ha fatto acquisire una preparazione che poi mi ha consentito di fare fruttuosamente tutte le tappe della carriera universitaria».

Che cosa è, in sintesi e in parole semplici, la chirurgia maxillo-facciale?

«È la chirurgia che si occupa di mascelle, viso e collo. Ci interessiamo di tutte le neoplasie che possono raggiungere anche la base del collo e delle fratture che riguardano la faccia. Poi ci interessiamo delle patologie malformative e ci occupiamo anche della ricostruzione, perché nel caso di neoplasie non solo c’è la necessità della radicalità oncologica, ma anche della ricostruzione per permettere al paziente un’adeguata vita di relazione».

Dove un ruolo importante lo svolgono la tecnologia e l’ingegneria biomedica.

«In questa fase dell’intervento c’è un rapporto di collaborazione strettissimo tra il chirurgo maxillo facciale e gli ingegneri che hanno sviluppato particolari competenze nella progettazione e realizzazione di materiali che possono essere utilizzati nella ricostruzione di parti della faccia e nella robotica. C’è l’utilizzo della “realtà aumentata”: un visore indossabile fornisce informazioni aggiuntive proprio davanti agli occhi del chirurgo allineate con le informazioni reali del campo operatorio e garantendo una precisione millimetrica. Si parla di stampanti 3D che consentono al chirurgo di stampare il modellino della struttura da trattare; di endoscopi in tre dimensioni; di navigatori che permettono al chirurgo di sapere esattamente in che parte del corpo ha posizionato lo strumento; di robot che consentono di operare una persona che si trova in un’altra stanza, e tanto altro ancora».

Ha detto di avere fatto tutta la carriera universitaria sotto la guida del professore Giardino. Come si è sviluppata?

«Sono diventato professore ordinario e poi responsabile di una Unità Operativa Complessa. Successivamente sono stato nominato direttore di un dipartimento assistenziale, il dipartimento testa-collo. È molto grande all’interno di questo ospedale e ci sono neurochirurghi, neurologi, psichiatri, psicologi, oculisti, otorini, audiologi, odontoiatri, chirurghi maxillo-facciali. Contestualmente sono diventato anche il vicedirettore di un altro dipartimento che si chiama dipartimento di neuroscienze che è un dipartimento universitario dove si fa didattica e ricerca. Poi ono diventato il presidente della scuola di medicina ».

Che cosa è questa scuola?

«È l’insieme di sette dipartimenti universitari e raggruppa tutte le attività di didattica e di ricerca che vengono svolte all’interno di essi. Sono stato eletto dai rappresentanti di 600 professori».

In buona sostanza ha due ruoli: fa il medico e il manager.

«È proprio così. La mia attività inizia ogni giorno alle 5 del mattino. Alle 7 sono qui al Policlinico e trascorro la mia giornata in parte nella mia struttura assistenziale e in parte in presidenza. Finisco sempre intorno alle 21. Molti mi chiedono: “ma chi te lo fa fare?”. Rispondo a tutti alla stessa maniera: mi diverto».

Ha voluto fortemente la realizzazione di un libro dal titolo “La facoltà di Medicina e Chirurgia a Cappella dei Cangiani” che è stato pubblicato quest’anno. Come è nata l’idea?

«Passeggiando nei viali del Policlinico. Noi viviamo una struttura che è la più bella cittadella universitaria del Mezzogiorno dove ogni giorno medici, professori, personale amministrativo e paramedico, spendono la propria vita nell’insegnare, fare ricerca e assistenza. Ci siamo resi conto che oggi è cambiato il modo in cui si conoscono le persone e si è perso molto del rapporto personale. C’è addirittura il rischio che si trascuri la memoria. Per questo abbiamo voluto festeggiare i 45 anni che partono dal 1965, quando fu messa la prima pietra, raccontando con un volume pieno di immagini e di ricordi le persone che sono state dietro agli eventi e a tutto ciò che si è realizzato in questo Policlinico. È un momento di conoscenza che serve a tutti quanti per capire da dove stiamo venendo e programmare dove vogliamo andare».

Sono riportati anche due fatti particolari. Ce li ricorda?

«È descritto l’evento che ha concorso alla beatificazione di Giovanni XXIII. Era ricoverata una suora che aveva una patologia per cui la cute era completamente macerata e non si riusciva a curarla. Un giorno si svegliò e raccontò che durante la notte aveva pregato il Papa il quale le aveva detto: “sei guarita”. I medici aprirono le garze e constatarono che era realmente così. Citiamo, anche, un episodio terribile di tutt’altro genere: l’assassinio del criminologo Paolella da parte delle Brigate Rosse. Era il periodo in cui era preside il professore Zannini e lui era il segretario della facoltà».

La presentazione del libro ha avuto molto risalto e ne hanno parlato la stampa e i media, in particolare “Unomattina”.

«C’è stata una manifestazione bellissima nell’aula magna alla quale ha partecipato anche il presidente della Camera, Roberto Fico, a testimonianza della dimensione nazionale che abbiamo voluto dare a questo evento».

Quando opera si ispira a un principio inderogabile. Quale?

«Il coinvolgimento personale umano è fortissimo. Le persone si aspettano tanto e ti mettono la propria vita e il proprio futuro nelle mani. Quando entro in sala operatoria mi dico: “fai alle persone le cose come vorresti venissero fatte a te”».

Al di fuori del lavoro che interessi ha?

«Mi piace leggere, guardare qualche film, ma il mio hobby vero è il giardinaggio. Coltivo anche un orticello che possiedo sia nella casa napoletana che in quella che ho al mare. Poi colleziono piante rare. È una passione che ho ereditato da mio nonno. Come tanti, seguo il calcio e faccio il tifo per il Napoli».

Va in giro con un’auto bella, ma un po’ datata. C’è un motivo particolare?

«Era di mio zio e volle regalarmela in punto di morte. Mi tiene legato a lui al quale ero particolarmente affezionato».