di Mimmo Sica

Oculista specializzato in retina medica e chirurgica, Maurizio Cioffi (nella foto) è sposato con Antonella, anche lei oculista, e hanno tre figli di cui la maggiore studia medicina. «Mio padre era medico di base e quindi io e mio fratello siamo cresciuti in un ambiente dove si parlava frequentemente di problematiche afferenti patologie varie. Dopo la maturità classica è stato naturale per entrambi iscriverci a medicina. Io volevo fare il ginecologo perché mi piaceva in particolare l’ostetricia, mio fratello l’ortopedico. Lui si è specializzato in questa branca io invece lungo il percorso cambiai indirizzo e scelsi oculistica».

Come mai?

«Fu un caso. Accompagnai mio padre che doveva essere operato di cataratta. Aveva scelto l’ospedale di Larino, un paese del Molise, perché c’era come specialista il dottore Ermanno dell’Omo, medaglia d’oro dell’oculistica italiana. Il luminare mi fece assistere all’intervento. Rimasi affascinato dalla sua competenza e professionalità e scoprii la bellezza di quella branca medica che conoscevo solo dai testi universitari. Fu amore a prima vista e decisi di volere fare l’oculista a qualsiasi costo».

Che cosa comportò questa sua decisione?

«Persi un anno. Ero risultato primo sia ai test per la scuola di specializzazione in ginecologia sia per quella di oculistica. Poiché mi ero laureato con una tesi in ginecologia non potetti accedere alla scuola di oculistica perché la tesi costituiva titolo preferenziale. Preferii attendere un anno e ripetere i test. Li superai risultando ancora una volta primo. Entrai nella scuola e vidi così premiati i miei sacrifici e realizzato il mio sogno».

Contemporaneamente continuava ad andare a Larino dal dottore Dell’Omo.

«Sì, perché cominciavo ad appassionarmi alla retina e alle sue patologie per le quali il mio maestro era un riferimento nazionale. Da lui andavano pazienti provenienti da tutta l’Italia. Al secondo anno della scuola vinsi una borsa di studio post laurea con la quale ebbi accesso all’Erasmus che, come è noto, è un programma di mobilità studentesca dell’Unione europea».

In quale città si recò?

«Scelsi Bruxelles perché avevo sentito parlare molto bene dell’Université Catholique de Louvain. Mi inserii immediatamente nel gruppo e lavoravo con passione e interesse. Decisi di frequentare in quell’ateneo il secondo e il terzo anno della specializzazione. Si era creato un feeling con il direttore della clinica il quale voleva che rimanessi con lui definitivamente. Parlò anche con il professore Bonavolontà che era il suo omologo a Napoli. Ma questi fu irremovibile e volle che rientrassi al Policlinico per finire la scuola».

Conseguita la specializzazione in oculistica, che cosa fece?

«Andai per un periodo in Inghilterra per fare esperienza sulla retina medica e su quella chirurgica».

Che cos’è la retina?

«L’occhio è formato dalla cornea, dal cristallino e dalla retina. Se lo paragoniamo a una macchina fotografica abbiamo che la cornea è la prima lente, il cristallino è l’obiettivo e la retina è la pellicola sulla quale si imprime l’immagine. Arriva capovolta e attraverso il nervo ottico, che  è composto da un milione di fibre nervose, con impulsi elettrici è trasmessa al cervello che la elabora».

Questa è l’anatomia dell’occhio. Soffermandoci sulla retina, che cosa si intende per “retina medica”?

«Con questa terminologia si intendono quelle retinopatie che vengono trattate con il laser o con iniezioni nell’occhio. Tra queste c’è la degenerazione maculare che normalmente è senile. É di due tipi: atrofica e secca o umida. Nella forma atrofica la retina perde la sua vitalità nella parte centrale della macula che è la zona deputata alla visione ed è il punto più importante della retina. Per quanto riguarda la forma umida essa è causata da vasi anomali e molto fragili che crescono al di sotto della macula. Non si conoscono ancora le ragioni e determinano una distorsione delle immagini, delle emorragie e delle macchie centrali. Si interviene con le siringhe all’interno dell’occhio che bloccano la neovascolarizzazione e fanno riassorbire il sangue. Bisogna fare dei cicli ripetuti che sono anche molto costosi».

E per retina chirurgica?

«L’insieme delle retinopatie che richiedono l’intervento chirurgico. Tra queste cito il pucker maculare, cioè la membrana epiretinica. È una malattia dell’occhio, nello specifico dell’interfaccia vitreo-retinica, che può provocare il distacco della retina danneggiando gravemente la vista. Consiste nella formazione di uno strato di cellule che provoca una trazione innaturale sulla retina e che si viene a creare soprattutto in età avanzata, sopra i 70 anni. In parole semplici, la retina è paragonabile a una coperta con un suo lenzuolo che la copre. Se questo si raggrinzisce e perde la sua linearità finisce col determinare anomalie anche alla retina sottostante. Si formano delle pieghe che vengono rimosse chirurgicamente mediante l’eliminazione del “lenzuolo”».

Come avviene il distacco della retina?

«Può essere determinato da un trauma. Quelli da pallina da golf o da tennis sono i più pericolosi perché centrano completamente l’occhio. Ma può essere causata anche dalla miopia. Nel miope l’occhio è allungato. La retina non è molto elastica per cui nel processo di allungamento c’è il rischio che si stacchi».

Si nasce con un occhio allungato?

«No, perché il bambino ha un occhio normale. È difficile trovarne uno con la miopia, cioè con un vizio di defrazione. Questo difetto si evolve negli anni e porta l’allungamento anteroposteriore del bulbo».

Oltre al trauma e alla miopia esistono altre cause del distacco della retrina?

«Un’altra causa molto frequente è l’alterazione della gelatina che sta nell’occhio, il corpo vitreo. Col tempo perde la sua consistenza, si raggrinzisce e tira sulla retina. È come un parato attaccato al muro che comincia a staccarsi. A questo punto si interviene chirurgicamente e con un cerchiaggio di silicone si porta la parete esterna dell’occhio verso la retina che si è sollevata. L’intervento  più innovativo è la vitrectomia».

In cosa consiste?

«Con degli strumenti microscopici si entra all’interno dell’occhio, si “mangia” il gel e, usando dei tamponanti  che sono più pesanti dell’acqua, si incolla la retina per poi suturare tutto con il laser. Il gel viene sostituito dall’umore acqueo che si produce naturalmente nell’occhio. Non ha la consistenza del gel, ma ha lo stesso indice di refrazione».

Poi c’è la retinopatia da diabete. Ce la spiega in sintesi?

«Il diabetico ha una patologia per cui i vasi non irrorano bene la retina e quindi parte di questa viene ischemizzata. Non avendo nutrimento può dar luogo a problematiche anche alla retina buona. Occorre, perciò, distruggere la zona di retina malata bruciandola con il laser».

Che cosa ci dice del cristallino?

«L’occhio si divide in due segmenti: quello posteriore è la retina, quello anteriore è il cristallino. Questo è una piccola lente che ha lo scopo di filtrare la luce che penetra attraverso la pupilla, direzionandola verso la retina. Adattando la propria forma tramite il cosiddetto processo dell’accomodazione, il cristallino permette la messa a fuoco degli oggetti alle varie distanze. La sua opacizzazione dà luogo alla cataratta che consiste nell’accumulo progressivo delle proteine che avviene con il passare del tempo. Con l’avanzare di questo processo, il cristallino opacizzato riduce la quantità di luce che passa all’interno degli occhi e la visione diventa annebbiata».

Come si interviene?

«Si sostituisce il cristallino che noi paragoniamo a un lupino perché ha una buccia esterna e un frutto interno. Aprendo la buccia dal davanti con un taglio di due millimetri, grazie a uno strumento che si chiama facoemulsificatore, mangiamo questo frutto e nell’involucro esterno inseriamo il cristallino artificiale di plastica trasparente che dura in eterno. Attualmente ci sono cristallini che permettono di correggere l’astigmatismo e vedere da lontano e da vicino come se si avessero occhiali con lenti progressive».

È vero che una volta sostituito il cristallino di un occhio bisogna sostituire anche l’altro?

«Solo nei miopi che abbiano più di tre diottrie, che è il massimo che il cervello umano può compensare. Oltre questo limite se non si interviene anche sull’altro occhio c’è lo sdoppiamento dell’immagine».

A che cosa serve la cornea?

«È la prima parte dell’occhio ed è trasparente. Quando si opacizza ​non si vede più e l’unica soluzione è sostituirla con un trapianto perché non c’è nulla di non biologico che si possa utilizzare».

Un’altra patologia molto importante è il glaucoma.

«Rientra tra le patologie del segmento anteriore. È un aumento della pressione oculare al di sopra dei limiti normali. Se c’è un eccesso di produzione dell’umore acqueo  oppure una riduzione del suo drenaggio, quando c’è, quindi, uno sbilanciamento tra il liquido prodotto e il liquido drenato, si può avere iperproduzione con intasamento dei fori in cui viene drenato. L’alta pressione che ne consegue determina un danno al nervo ottico con restringimento del campo visivo. Si interviene farmacologicamente, con il laser o con un intervento chirurgico per creare un bypass che favorisca il drenaggio».

La prevenzione nell’oculistica, in modo particolare, è molto importante. Che cosa deve comprendere necessariamente la visita specialistica?

«La visita ha quattro momenti fondamentali: lo studio della refrazione per gli occhiali, lo studio del cristallino, lo studio del fondo oculare e lo studio della pressione oculare».

Perché non ha optato per la carriera universitaria?

«L’università “obbliga” a una superspecializzazione che ha un campo di azione molto limitato. Il mio maestro invece era un tuttologo che copriva tutti i rami dell’oculistica e mi ha dato un indirizzo e una formazione più di tipo ospedaliero»​.

Ha mai pensato di lasciare Napoli?

«Il direttore della clinica oculistica di Bruxelles mi propose di trasferirmi definitivamente da lui insieme a mia moglie Antonella, anche lei oculista. Dicemmo di no perché Napoli è la nostra città e ci sentiamo in dovere di mettere a disposizione le nostre professionalità per contribuire, per la nostra parte, al suo rilancio. Ci auguriamo che anche la nostra prima figlia che studia medicina, dopo la laurea possa seguire il nostro esempio. Per gli altri due più piccoli è prematuro fare previsioni».

Nel tempo libero cosa fa?

«Mi dedico alla famiglia e quando posso pratico sci e tennis a livello amatoriale. D’estate sono un modesto diportista».