Una definizione abbastanza semplice dei contenuti propri della stagione che, tra le due guerre mondiali, fu quella della “American Scene”, può consistere nel considerare tale temperie come uno specchio in cui l’America guarda se stessa. Questo indirizzo diventa poi compito specifico affidato agli artisti americani da un programma assistenziale che intervenne a mitigare gli effetti negativi della depressione seguita alla grande crisi economica del 1929. Il governo degli Usa promosse un programma (FAP) di sostegno agli artisti, spingendoli a farsi promotori di una esaltazione orgogliosa della identità e di una promessa di “sogno americano”. Gli artisti risposero – un po’ con entusiasmo, un po’ per necessità – a tale sollecitazione governativa ed attuarono un programma molto importante e fortemente dilatato che avrebbe consentito agli Usa di riconoscersi nella propria volontà di riscatto e di superamento della crisi. Spiccarono, in tale contesto, alcune personalità che sono diventate l’emblema stesso di questa stagione: pensiamo, ad esempio, a Grant Wood che, con la sua opera American Gotic del 1930 (nella figura il dipinto), definiva l’icona emblematica di quella America di mezzo che costituiva il serbatoio delle risorse statunitensi e che pure ha sempre pagato un caro prezzo di emarginazione rispetto alla vivacità esuberante delle città delle coste. Insieme con Grant Wood, ricorderemo anche qualche altro artista, come, ad esempio, John Stewart Curry o come Thomas Benton, nelle cui opere sembra, talvolta, echeggiare una sensibilità figurativa prossima alla pittura dei grandi muralisti latino-americani, mentre qualche artista come Ben Shan si spinge verso orizzonti più marcatamente espressionistici. Fu una stagione importante al cui interno fecero la loro prima esperienza creativa anche artisti come Pollock, Rothko, Gottlieb, Baziotes, de Kooning, ma il loro tempo sarebbe venuto solo dopo, negli anni ’40 in poi, con l’affermarsi di nuove istanze creative.