Dopo l’articolo pubblicato, qui, nelle colonne del “Roma”, due settimane fa ed apparso col titolo di “Al di là dell’umano: le nuove frontiere dell’arte”, abbiamo ricevuto numerose richieste di sviluppare più ampiamente il tema, fornendo un nostro punto di vista come risposta all’interrogativo col quale si chiudeva il nostro precedente intervento, se potesse, cioè, essere ancora immaginabile, in futuro, una prospettiva di assetto statutario dell’opera d’arte come oggetto di cultura materiale. Di fatto, noi non immaginiamo affatto di poter predire o anticipare il futuro, ma solo tentare di leggere, nel presente, le linee di tendenza di una possibile evoluzione di processo. Innanzitutto potrà essere possibile osservare che - già nel presente - ci troviamo in un contesto di accesso ad una condizione cosiddetta “transumana”, quella, cioè, che prevede la possibilità pratica di integrare l’assetto biologico della vita umana con interventi ibridativi di varia natura organica o inorganica. Detto questo, occorre interrogarsi sugli esiti possibili di tutto ciò nel mondo nell’arte, sfuggendo, evidentemente, all’insidia di fare fantascienza. Una considerazione ci accompagna e ci rassicura: da sempre, l’arte, nella storia, ha svolto un ruolo “profetico”, nel senso che ha saputo fornire una visione anticipativa di fenomeni politico-sociali che avrebbero richiesto più lungo tempo per maturare ed avverarsi. Sulla scorta di ciò è possibile, già ora, osservare alcuni dati di grande interesse che possono fornire una prefigurazione anticipativa dei processi estetici futuri, offrendo una prima possibilità di risposta all’interrogativo se lo statuto artistico della consistenza di oggetto di cultura materiale dell’arte possa essere suscettibile di cambiamento. Osserveremo, in proposito - per non rischiare di scivolare nella prospettiva teoretica e rimanere, invece, nel pratico - lo sviluppo che stanno riscuotendo i cosiddetti “Nft”, ovvero i No Fungible Token, che non costituiscono un nuovo strumento di produzione artistica, ma solo una nuova - come vorremmo definirla - parafrasi di mercato, che tende ad assimilare le dinamiche artistiche a quelle del mondo delle criptovalute. Bene, in questo contesto è possibile verificare un dato emergente di grande interesse, che consiste nella possibilità che si offre, per la prima volta nella storia, di scindere la consistenza valoriale dell’arte (nei suoi contenuti innanzitutto economici, ma anche, derivativamente estetici) dall’oggetto in sé, così che possa addirittura avvenire - come di fatto è già avvenuto - che anche la stessa distruzione del manufatto artistico non abbia minimamente azzerato o diminuito la sua commerciabilità (ormai solo virtuale), che, anzi, dopo la distruzione del manufatto, ha addirittura visto accrescere il suo significato economico: la prova, questa, della scissione avvenuta, all’interno della consistenza atavica di cultura materiale propria dell’oggetto d’arte, tra datità oggettuale e proprietà valoriali (nella foto da Cbsn, la distruzione di un’opera di Banksy trasformata in un Nft). Ciò costituisce un primum inalienabile e può essere considerato come una inedita opportunità di affaccio sulle condizioni di una creatività artistica che accompagni, gradualmente, la transizione dall’umano al transumano al postumano, modificando gli assetti e lo statuto dell’arte, ma non, probabilmente, ciò che ne costituisce l’intima ed irrinunciabile istanza, quella di pensiero creativo.