La donna camminava lenta. Costeggiava la fila degli uomini schierati a distanza di sicurezza davanti al supermercato. Impavida non aveva di che proteggersi, mentre gli altri avevano le mascherine e i guanti. Il sottile pareo trasparente le incorniciava le natiche, che ondeggiavano fiere dichiarandosi sode al punto giusto. Ognuna sarebbe entrata in un palmo di mano a volerla toccare. Il seno traballava allegramente sotto la maglietta come se volesse andare a spasso. Lo sguardo era determinato, la borsa vuota. Avrebbe superato tutti e nessuno avrebbe mosso un dito. Per la paura, per il sospetto. Il tempo, che era già sospeso, decise di opporsi definitivamente alla propria natura e l’aria pure smise di essere tale, che neanche una mosca avrebbe potuto volarci. Gli uomini smisero di respirare. Per la paura, per il sospetto, ma pure per la fragile dimostrazione della loro virilità sulla quale non avevano nessuna presa. Cercavano di nascondere così le piccole, medie e grandi aste che si sollevavano una a una al suo passaggio. Ancheggiando distratta, volse lo sguardo un attimo verso di me e mi riconobbe. «Aldo!». Si avvicinò, la pazza, troppo, quasi mi sembrò che mi sfiorasse. «Aldo, te vuless bacià, ma mo sta stu fatt r’o virus… ma t’aggio pensato assai!». Mi sono svegliato di soprassalto, tutto sudato. Avevo sentito bene. Era lei, la sua voce, il suo profumo, ma lei non c’era. L’avevo quasi toccata. Pinuccia. Quant’era bella Pinuccia. Da dove era venuto il ricordo? Dove stava nascosto? Dove si era persa Pinuccia in questi anni? Perché veniva a trovarmi adesso, nella solitudine del letto? Non riuscivo a darmi pace. Ero sveglio, ma volevo tornare a sognare, dimenticare il presente come avevo dimenticato lei, che era riuscita a tornare.Provavo ma non riuscivo a riprendere il sonno, tornare a quando lei si avvicinava e quasi mi toccava. Oggi è iniziata la terza settimana di quarantena, sono passati tre giorni dal sogno e io continuo a pensarci. Mi addormento la sera sperando di rientrarci, ma Pinuccia si è smarrita di nuovo. Allora la cerco affannato sulle vecchie rubriche, quelle scritte a penna, ma non la trovo. Poi mi chiedo se quel curioso social a cui mi sono iscritto può servirmi e cerco anche là. Giuseppina Liguori. La trovo. Mi batte il cuore. Le scrivo e aspetto.Mi agito per la casa, cammino, sistemo, poi torno a guardare. Niente. La giornata mi pesa e mi piace più delle altre. Mi metto a cucinare i legumi che avevo messo a bagno e faccio le polpette. Passa il tempo ma niente. Comincio a trascinarmi stanco poi infine sento un rumore nel computer. È lei. «Aldo, mi scrive, T’aggio pensato assai».

(L'opera in foto è "Tettonica" di Carla Viparelli)