Non c’era bisogno di stringersi la mano
di Nino Di Somma
Dom 05 Aprile 2020 20:24
Li univa la voglia di prolungare l'infanzia e vivevano in simbiosi, come in un grande abbraccio: compagni di scuola e amici per la pelle. Accadde che il più ricco della combriccola, con una mansarda a disposizione e un papà generoso, mise in piedi una radio, comprando il materiale. Un posto dove rintanarsi dopo la scuola, studiare lo stretto indispensabile e stare insieme fino a sera tardi. Per dare sfogo alla fantasia, all’inventiva e alla sana ironia di chi non riusciva proprio a prendersi sul serio. “Radiomatta”, questo il nome che avevano coniato, era il loro orgoglio. Programmi spensierati come lo spazio degli scherzi telefonici, in cui venivano trasmesse le registrazioni delle burle alle vittime di turno. In testa alla hit delle carognate, la beffa a un docente che dava lezioni private, al quale fecero credere che stesse parlando con un maresciallo della Finanza pronto a rovinarlo. Un gruppo impenetrabile, i cui componenti non avevano bisogno di stringersi la mano quando s’incontravano, né di abbracciarsi o baciarsi per testimoniarsi l’affetto. Anche quella combriccola, però, da impenetrabile che era, si sciolse. Il solvente assunse le sembianze di una magnifica creatura di sesso femminile con notevoli dotazioni di bordo e un discreto fascino, tale da far cascare l’imprenditore. A ruota, anche gli altri decisero di esplorare il mondo femminile, attività antitetica al sano divertimento e che decretò, di fatto, la fine delle trasmissioni. Non avevano bisogno di abbracciarsi e baciarsi, non si strinsero la mano per salutarsi. Qualcuno lasciò la cittadina di provincia per studiare in università prestigiose, altri, pur abitando nello stesso quartiere, diradarono le occasioni d’incontro, presi dalle fatiche degli studi universitari. Si ritrovarono per caso, dopo un paio d’anni, in piazza, durante le vacanze di Natale e sentirono il bisogno di suggellare l’incontro con abbracci, baci e poderose pacche sulle spalle. Nel giro di mezz’ora, il gruppo si ricompose e non fu necessaria alcuna comunicazione verbale. Come ai bei tempi, la sintonia era perfetta e bastava incrociare gli sguardi. Così, al passaggio di Felicetto, un coetaneo che avevano perso di vista dopo il liceo e che spiccava per i suoi complessi, nessuno proferì parola. Il nastro della memoria si riavvolse e gli sguardi s’incrociarono. Lasciarono che fosse lui a rompere il ghiaccio e conoscendone la mania per il genere femminile, inavvicinabile per la sua timidezza, gli diedero ad intendere che ne avevano “una per le mani che non fa tanti preamboli”. «Anzi – suggerì l’impresario - devi dirle qualcosa di pesante per t»lefono, altrimenti non ci sta». Prese lo smartphone e compose il numero di casa di Felicetto, che ricordava a memoria tanti erano stati gli scherzi telefonici che gli aveva riservato negli anni; al segnale di libero, gli strizzò l’occhio e gli porse il telefono. «Vai, è tutta tua, adora le parolacce». Il fragore delle risate li scaldò, più di cento abbracci.
(L'opera in foto è "Tramente" di Carla Viparelli)
Ci mancano i baci, gli abbracci, le carezze? E persino i “paccheri” e i pizzichi? Le parole, con la loro magia, possono restituirceli attraverso un racconto. La strategia è vecchia ma sempre valida, quella del nostro Boccaccio: dare spazio alla fantasia e narrare una storia al giorno, così la quarantena sembrerà più breve. Dopo il Decamerone è tempo di scrivere il “Quarantenamerone”: saranno i lettori, con i loro racconti, a farlo inviando il loro scritto all'indirizzo armida.parisi@ilroma.net. Due i vincoli: la lunghezza e l’argomento. Il racconto dovrà essere lungo tremila caratteri, spazi inclusi, e ispirato al tema “Baci, abbracci, paccheri e pizzichi”. La redazione selezionerà i migliori e li pubblicherà sulla pagina culturale del quotidiano e sul sito, dove il testo è arricchito dalla riproduzione di un’opera dell’artista Carla Viparelli in sintonia con il tema proposto.