Città dell’estrema varietà e delle più clamorose contrapposizioni, Napoli trova dicotomia anche tra coloro che la divulgano al resto del mondo, così che se da un lato vediamo schierati napoletani che perseguono la facile via del consenso straniero, descrivendo realtà efferate o risibili, dove il napoletano viene fuori come bestiale fuorilegge impietoso ed amorale o come sorta di guitto simpatico, anche geniale, ma umile, ignorante e miserando, ottenendo in tal modo l’effetto di divertire o turbare profondamente gli spiriti più semplici che, mai stati a Napoli, acquisiscono passivamente ed acriticamente quanto loro propinato imbevendosene fin nel profondo dell’anima e finendo col coltivare astio sociale e fomentare disgregazione nazionale, da un altro lato troviamo invece napoletani che tutelano i valori più autentici, precipui, nobili e costruttivi della loro cultura. I primi, poi, spesso, si osserva, rinnegano la città del Vesuvio e vanno a risiedere fuori da essa, gli altri vi restano amorosamente. Proprio l’odierna data del 3 novembre ci ha regalato una di queste ultime benemerite figure. Nel 1928 nasceva infatti Renato de Falco (nella foto), avvocato, ma soprattutto filologo e scrittore, a cui dobbiamo numerose dotte pubblicazioni e conferenze all’insegna di affascinante, coinvolgente facondia, dove analizzava ed illustrava l’idioma partenopeo, deducendo e documentando origini ed usi delle parole e dei modi di dire, e facendo indirettamente anche capire, ai più sottili di noi, come il napoletano, alla stregua dell’italiano dei nostri maggiori scrittori, ha sì acquisito vocaboli da altre lingue, ma metabolizzandoli ed arricchendosi di essi, laddove oggi tanto palesemente dilaga una supina utilizzazione di termini, specialmente inglesi, passivamente sciorinati, non metabolizzati in alcun modo, semplicemente ripetuti, di cui il nostro vocabolario non ha alcuna necessità, se non per testimoniare, purtroppo, epocale patetica sottomissione culturale