Dopo giorni di frescura rigenerante, esplicita avvisaglia di fine estate, un’insopportabile calura ottundeva pensieri, azioni e il tempo stesso nel suo accompagnare all’epilogo una serata casalinga di inizio settembre. Ogni attività interrotta o rinunciata per l’asfissia e il sudore incoraggiava l’inquietitudine. Il balcone affacciato sul fiume, lo stesso di cui qui abbiamo raccontato il dilagare quattro anni fa, offriva ventilato ricetto. La sedia colorata, ancora non incartata per l’inverno, mi ha accolto. Tutt’intorno un buio lievemente stinto dai riverberi dei lampioni di chissà quale strada, per chissà quale via giunti a espandersi e riflettersi sul sottile letto d’acqua. La prima bottiglia a tiro presa e stappata. L’etichetta l’ho letta solo l’indomani, abbandonato dal primo sorso a un piacere che voleva rimanere pieno di se stesso, ignorante di qualsiasi informazione. Se il vino ha un suo dio, anzi, due, se ha attraversato i secoli e le civiltà, accompagnato e ispirato poeti, filosofi, narratori, barboni, disperati viventi, amanti, passioni, odi e follie non è certo perché sia medicina e veleno, perché sia di natura o di industria, per questa o quella tecnica di allevamento e produzione, per le suggestioni delle vite di chi lo produce. Nemmeno, addirittura, perché è buono. No, è per il piacere, per la sua dolce compagnia. Mutano i gusti degli esseri umani, è un aspetto del passare del tempo. Mutano con essi, poco importa se prima o dopo o insieme, le tecniche di produzione. I produttori (evocativamente detti vignaioli o vigneron) , checché ne dicano, non ci si lasci abbindolare dalle filosofie, vogliono vendere il proprio vino: assestano per questo il lavoro e il marketing, inventano fandonie, ideologie addirittura. Dalla bottiglia stappata nel buio è scorso nei calici accarezzati da fresche folate un vino profumato di ciliegia, di campagna verde, di piccoli granelli di pepe. Bevuto è stato così piacevole da far naturalmente passare la voglia di scoprire di cosa sapesse, le caratteristeiche di degustazione, le qualità. Ha le doti del piacere, è musicale in bocca. I sommelier sorrideranno a questa definizione, ma essa allude al piacere che dona l’armonia della musica, qualsiasi sia il genere, una sinfonia, un rap, una canzone pop, un assolo di jazz. Il piacere non è un’operazione matematica, è un’alchimia geniale. Le parole del vino imporrebbero che scrivessi di freschezza, tannicità, equlibrio, finezza, morbidezza, persistenza, maturità. Per una bottiglia così, vada al diavolo il glossario. Il Rosso della Gobba, Igt, annata 2017,della cantina Raìna di Francesco Mariani, costa tra gli otto e i dieci euro. Per chi vi tenesse riguardo, è un vino certificato biologico, da uve (Sangiovese, Montepulciano e Montefalco) di vigne condotte con metodo biodinamico. Francesco Mariani Viticoltore in Montefalco - www.raina.it