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Le nuove mani sulla città

Opinionista: 

L’Università Federico II e l’Amministrazione comunale hanno reso omaggio martedì scorso al grande regista Francesco Rosi, autore di numerosi film ammirati in tutto il mondo, tra i quali “Le mani sulla città”. Un film giustamente premiato con il Leone d’Oro alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia del 1963, che si rivede sempre con piacere per il godimento spirituale che la narrazione procura allo spettatore, pari a quello che dà la “rilettura” di un libro di un grande scrittore. Mi viene perciò da dire che, quando ci si volge a considerare quell’unico mondo di fantasia e liricità nel quale poesia, musica e narrazione parlano lo stesso linguaggio, il confronto fra letteratura e cinema ci appare immediato. Giacchè ritmo, armonia, cadenza, sequenza, narrazione appartengono sia alla parola scritta che alle immagini in movimento, accomunando i sentimenti espressi nel tempo e nello spazio in una sola sfera ideale, in un unico ordine di valori. Quelli dell’arte pura. Del resto, l’assonanza tra letteratura e cinema è stata evidenziata da storici e critici essendo tutt’e e due manifestazioni di un’arte capace di trasformare le vicende umane in momenti di poesia, di fantasia e di lirismo senza tempo. Come accade in tutti i film di Francesco Rosi. Resta in me e negli amanti del cinema il rammarico del mancato seguito del film, che gli avevo proposto alcuni anni fa, per denunciare gli orrori operati nel tessuto cittadino dagli architetti milanesi, torinesi, genovesi, romani, bolognesi, francesi, cileni, portoghesi, spagnoli, tedeschi, austriaci. E napoletani. Ne cito solo alcuni per esigenza di spazio. Alessandro Mendini, che ha recintato la Villa comunale con le “supposte dorate” e l’ha involgarìta con gli chalet multicolori; Gae Aulenti, alla quale si deve l’idea dei due orrori delle stazioni del metrò di piazza Dante e del Museo; Vittorio Gregotti, progettista della ciambella indigesta della facoltà di medicina a Scampìa (lontanissima dall’essere ultimata); Anish Kapoor, che ha incassato due milioni di euro per aver disegnato la “vagina” della stazione della Cumana di Monte Sant'Angelo (“i viaggiatori entrano da adulti da dove sono usciti neonati” ha detto il grande artista angloindiano con raffinato buongusto); Francesco Cellini, ideatore dello sconclusionato piano urbanistico di Bagnoli; Guido Riano, autore della ricostruzione della funicolare di Chiaja secondo una concezione “classico-moderna” che unisce il cattivo gusto all’evidente ossimoro; Benedetto Gravagnuolo, che ha “imbruttito” le tre piazze del salotto buono cittadino: piazza dei Martiri, piazza San Pasquale e piazza Amedeo; Riccardo Dalisi, autore irresponsabile della ingiuriosa proposta di ingabbiare l’Albergo dei Poveri in un osceno e insensato reticolo di acciaio; Dominique Perrault, che ha inserito brutalmente nella piazza Garibaldi una megastruttura reticolare di tubolari di acciaio, brutta e inutile; Massimiliano Fuksas, che ha “bucato” la piazza Nicola Amore per collocarvi un semiguscio d’uovo in acciaio e vetro per “fare entrare la luce solare nella sottostante stazione” (la statua del grande sindaco è ancora confinata a Piazza Vittoria dal lontanissimo 1938). Infine Uberto Siola, autore di due scempi urbanistici. L’interruzione della continuità di viale Augusto per “sistemare” una banale piazzetta a Fuorigrotta (una brutalità che ha scandalizzato il mondo culturale italiano ed europeo). E la distruzione dei pini che ornavano piazza Santa Maria degli Angeli per realizzare un grande “buco” coperto da una cupola in acciaio e vetro allo scopo di illuminare dall’alto la stazione del metro collinare di piazza Plebiscito. È un vero peccato che Francesco Rosi non abbia girato il seguito di “ Le mani sulla città”. Avrebbe documentato che gli epigoni del palazzinaro laurino Eduardo Nottola hanno dimostrato quanto sia vero il giudizio del maestro Oscar Niemeyer. “Gli architetti contemporanei mi fanno orrore, hanno smarrito il senso dell’estetica e dell’etica”. Un giudizio che siamo i molti a condividere..