Con legge 76 del 2016 è stato introdotto l’istituto delle Unioni civili tra persone dello stesso sesso e sono state disciplinate le convivenze di fatto. In modo chiaro deve intendersi: • per unione civile, il legame affettivo reciproco tra due persone dello stesso sesso, di maggiore età, che si formalizza mediante dichiarazione resa di fronte all’ufficiale di stato civile e in presenza di due testimoni; • mentre la convivenza di fatto, invece, si esplica nella stabile convivenza di due persone maggiorenni, anche non dello stesso sesso, unite da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. A far data dal 5 giugno 2016 possono dunque legarsi con un’unione civile due persone maggiorenni dello stesso sesso, ciò dovrà avvenire di fronte ad un ufficiale dello stato civile e alla presenza di due testimoni. Tale disposizione legislativa importa quindi un cambiamento non sottovalutabile non solo per quanto attiene ai rapporti familiari in generale ma anche, per quanto ci interessa, nei rapporti di lavoro. È infatti del tutto intuitivo come il provvedimento in questione abbia riflessi fiscali e previdenziali per il suo avvicinamento all’istituto del matrimonio, sebbene tale istituto resta comunque espressamente disciplinato dal Codice civile. Di particolare interesse si evidenziano pertanto le ripercussioni che tale norma ha, nella fattispecie, sul piano dei rapporti previdenziali. Con la circolare n.66/2017, a fronte anche delle richieste di chiarimenti pervenute dalle strutture territoriali dello stesso Ente assicuratore, l’Inps ha fornito le prime istruzioni sull’incidenza delle nuove disposizioni normative sulla disciplina degli obblighi previdenziali a carico degli esercenti attività d’impresa. Le unioni civili - precisa l’istituto - costituite da persone maggiorenni dello stesso sesso che si sono unite legalmente acquisendo lo status di “coniuge”, risultano destinatarie di qualsiasi disposizione normativa, regolamentare o amministrativa, oltreché di tutte le disposizioni del codice civile direttamente richiamate dalla predetta legge. Tale status di conseguenza rileva pure ai fini dell’individuazione dei soggetti che svolgono attività lavorativa in qualità di collaboratori del titolare d’impresa o, se l’impresa assume forma societaria, di uno dei titolari. L’equiparazione implica anche la necessità di estendere le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma, ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile. Per il regime patrimoniale applicabile alle unioni civili, anche con riferimento al campo di applicazione dell’istituto dell’impresa familiare, il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i derivanti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale. Le convivenze di fatto, invece, consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Il neo provvedimento estende al convivente alcune tutele riservate al coniuge o ai familiari ma non introduce alcuna equiparazione di status né estende al convivente gli stessi diritti e obblighi di copertura previdenziale prefigurati per il familiare coadiutore. Le sue prestazioni saranno quindi valutabili, in base alle disposizioni vigenti ed alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto. La legge attribuisce però al convivente che presta stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente, il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società. Tale innovazione, pur non attribuendo ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui godono i familiari, consente che l’eventuale attribuzione di utili d’impresa da parte del titolare, non abbia alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.