Era il 1955 quando Marlon Brando, dopo aver fatto andare letteralmente in sollucchero, il cuore di tante giovani adolescenti, con la sua immacolata canottiera nel film “Un tram che si chiama desiderio” e dopo l’Oscar vinto con “Fronte del porto”, si concesse il ruolo di uno scommettitore incallito nella commedia “Bulli e Pupe” che noi, come avrete notato abbiamo travisato nel titolo del nostro “Fattariello”. Era giovane il Brando, era lontano dall’essere il don Vito Corleone, il suo “bullismo” consisteva nell’infrangere cuori a dismisura, mentre il bullismo d’oggi… ne vogliamo parlare? E parliamone. Tutti siamo stati ragazzi, tutti abbiamo avuto i nostri dodici- tredici anni, ed ora che quegli anni son ben lontani da noi, non vorremmo apparire moralisti ’nzallanuti che fann’a predica a sti muccusielle, ma poiché il fenomeno sta crescendo a dismisura, non possiamo esimerci dal farlo e, inevitabilmente, andiamo con la mente alla nostra adolescenza. I ricordi sono tanti e, ringrazianne ’a Madonna, sono ancora freschi nei residui della nostra memoria. Eravamo anche noi “bulletti del paese” (San Giorgio a Cremano), e lo eravamo così tanto da aver perfino timore della divisa del vigile urbano (oggi nun se ne fottono nemmeno di quella dei carabinieri). Una volta avendo camminato sulle aiuole nella piazza del Municipio, il vigile avendoci visto, gridò “te cunosco, tu si ’o figlio ’e Imperatrice”; e dopo poco, rientrando a casa, venimmo accolti da un sonoro ceffone e la domanda immancabile di mamma: “che avete fatto in piazza?”. Avete capito la cazzimma? Prima il ceffone e poi la domanda; certo che, se avessimo avuto prima la domanda, ci saremmo un po’ preparati a parà ’o pacchero! Il nostro bullismo consisteva nel giocare a pallone e, inevitabilmente, rompere il vetro di qualche finestra; eravamo bulli nel darci spintoni, al fine di accaparrarci per primi la striscia fumetto di Tarzan; eravamo bulli perché, avevamo sì la nostra ragazzina, ma a distanza, senza nemmeno sfiorarci; eravamo bulli pecchè ce pigliaveme a mazzate per chi doveva servire la messa del vespro e, confessiamolo, usavamo anche noi il coltellino ma… non per perforare gole o milze, non per accoltellare nostri coetanei; il coltellino che noi usavamo ce lo forniva il venditore di fichi d’india, quando, pagandogli 5 lire, avevamo diritto a tre “appezzate” nella sporta contenente il dolce frutto. Ecco… così eravamo bulli… eravamo quello che i nostri genitori ci avevano insegnato ad essere. Comme se dice? Si ’a pianta è bbona... ’o frutto è bbuono e, sarebbe ora di rivedere la legge sull’imputabilità dei minori; non auspichiamo certamente l’ergastolo come per i 2.500 minori, al momento detenuti a vita, nella carceri americane ma, una condanna esemplare, certamente sarebbe un ottimo deterrente. Buon Sant’Antuono a tutti e stateve accorte cu ’e fucarazze. Alla prossima.