Definire l’omeopatia è operazione complicata. Spesso viene inquadrata come una medicina alternativa ma, in ripetute occasioni, è stato dimostrato che di medico e medicamentoso non ha assolutamente nulla. Né il fatto che molte persone ne facciano uso, secondo alcune stime circa il 5% della popolazione, fa acquisire efficacia a questa pratica. L’omeopatia è nata alla fine del ’700 ad opera di un medico tedesco, Samuel Hahnemann. Questi partì da un presupposto: una determinata sostanza che ad alte dosi causa effetti indesiderati in persone sane, nelle medesime, a dosaggi minimi, può avere un effetto terapeutico. A questo bisogna aggiungere l’assunto dell’immunologo francese Jacques Benveniste, secondo il quale l’acqua conserva memoria di sostanze con cui è entrata in contatto in passato, pertanto sarebbe in grado di provocare una risposta del sistema immunitario se in passato, appunto, è stata addizionata con sostanze terapeutiche. Tale teoria, esposta anche sulle pagine della rivista Nature nel 1988, non ha avuto alcun riscontro in molteplici repliche che sono state richieste al luminare, pertanto resta una teoria senza alcun riscontro reale. Uno dei principi sui quali si baserebbe l’omeopatia potrebbe essere anche condivisibile: con essa, infatti, si somministrano sostanze simili a quelle che producono la patologia. Praticamente la stessa metodologia utilizzata con i vaccini, con la differenza che con questi si sa cosa si vuol prevenire e, quindi, si predispone l’organismo a preparare le difese contro una minaccia imminente (ad esempio l’influenza); con l’omeopatia, invece, si somministra una sostanza che provocherebbe un disturbo nel momento in cui questo disturbo è presente. Molte perplessità, dunque, porta con sé l’omeopatia. L’ultimo parere su una pratica che ha oltre 200 anni, è stato dell’Australian National Health and Medical Research Council (NHMRC), il più importante istituto australiano di ricerca medica. I ricercatori australiani, infatti, hanno preso in esame circa 1800 studi su tecniche curative omeopatiche, arrivando alla conclusione che non ci sono reali effetti documentati, o riconducibili a tale terapia. Certamente l’omeopatia ha come pregio quello di mettere al centro della sua attenzione il paziente e, quindi, anche un’interazione maggiore da parte del medico curante che troppo spesso si limita a prescrivere una terapia e non tiene conto di tutti i disagi che una patologia porta con sé. Altra cosa è voler curare pazienti con principi vegetali e/o animali altamente diluiti da non presentare traccia del principio attivo di partenza. La prassi omeopatica, infatti, prevede che un principio venga diluito in un rapporto 1 a 10 e questo passaggio venga ripetuto per 12 volte. Praticamente, facendo un paio di calcoli, si otterrebbe una parte di sostanza ogni mille miliardi di acqua... La mancanza di un adeguato intervento farmacologico ci fa tornare indietro di secoli della storia della medicina, esponendo a rischi enormi anche per patologie di lieve entità, come il caso del bambino morto lo scorso maggio a causa di una banale otite che si sospetta essere degenerata, proprio a causa dell’accanimento con cure alternative che hanno fatto progredire il malore, fino ad un’infezione cerebrale letale.