A circa due settimane dall’inaugurazione del megaparco alimentare di Farinetti a Bologna, Fico, apre a Torino Edit - Eat Drink Innovative Together. Duemila metri quadrati allestiti con un birrificio artigianale, un ristorante, quattro cucine professionali, un cocktail bar, un bakery caffè. Offrire una “esperienza realmente immersiva nella cultura del cibo” declama con tono documentaristico una suadente voce nel video di presentazione. Coinvolti, come d’uopo, archistar, grandi chef, bartender, i big dell’enogastronomia. Tutti al servizio di una formula innovativa infarcita di coworking, condivisione, partecipazione, innovazione, sperimentazione. Un food blogger invitato alla presentazione ne parla così: “Edit non è un bistrot, ma un’operazione immobiliare da 12 milioni di euro... Edit è una figata”. Raccontano le cronache che da Edit ciascun ghiottone potrà essere protagonista della cucina, cucinando il proprio cibo e il beer addicted potrà autoprodursi la birra per saziare la propria sete. Sarà interessante scoprire come funzioni tutto questo. Intanto divampa la polemica sviluppatasi a seguito di un articolo apparso sulle pagine online del “Corriere della Sera” a firma di Valerio Massimo Visintin. Il critico mascherato bacchetta Paolo Vizzari, consulente di Edit, redattore con papà Vincenzo di una storica e influente rubrica su “L’Espresso”, collaboratore della “Guida dei Ristoranti L’Espresso”, diretta sempre da papà, direttore editoriale del sito Passione Gourmet. Qual è il motivo del calar della penna mannaia di Visintin sulla cresta del rampollo Vizzari è presto detto: l’evidente, palese, macroscopica incompatibilità etica e deontologica tra l’esercizio della critica gastronomica e la consulenza retribuita prestata a favore di un nuovo colosso operante nel medesimo settore in cui operano i recensiti da figliuol Paolo e dal suo paparone. Nella lunga e a tratti aspra e volgare discussione su faccialibro sono intervenuti giornalisti, blogger e lo stesso Paolo Vizzari. Questi a sua difesa ha schierato un attacco composto dai seguenti argomenti: Visintin mangia e beve solo a Milano, io in tutto il mondo; Visintin ha ereditato il mestiere del padre; mi sono dimesso dalla “Guida l’Espresso”, per il resto curo solo una rubrica su un primario periodico italiano, ma sono non giornalista quindi il codice deontologico non si applica; scrivo reportage sui ristoranti non articoli di critica quindi non sono in conflitto di interessi; Visintin è un fuorilegge perché gira mascherato in violazione di una precisa legge dello Stato. Lettori e giornalisti intervenuti appassionatamente nella polemica suddividendosi tra pro e contro Vizzari e più in generale una disinvolta etica giornalistica. Dopo circa 160 commenti la discussione è avvitata su se stessa senza che possa trarsi una conclusione. Proviamo, allora, a riformulare la questione come se riguardasse la politica e vediamo se ne vien fuori una conclusione netta. Ipotizziamo, per esempio, che Bruno Vespa accettasse di essere consulente retribuito di Massimo D’Alema e che promettesse, visto il suo nuovo ruolo, di non scrivere più libri (guide) di contesto politico (gastronomico) pur continuando a guidare la sua trasmissione (rubrica). Solleverebbe una levata di scudi il palese conflitto tra l’attività di consulente di un politico e quella di conduttore di una trasmissione di approfondimento anche politico? Senza dubbio sì. Il caso di Paolo Vizzari è del tutto analogo ma non suscita scalpore, né tra larga fetta di famelici addetti ai lavori né tra i lettori. Il settore della critica enogastronomica, infatti, è avvilito e screditato da consuetudini analoghe a quella di figliuol Paolo. Le affilatissime lame degli interessi hanno triturato etica e deontologia, finite in un potage maleodorante insieme ai fagioli, investimenti, interessi, scarole, patate e pajette. E come ogni piatto malfatto questa minestra alimenta il discredito e il sospetto nei confronti dei cronisti e critici gastronomici. La sfrontatezza di figliuol Paolo Vizzari è madre e figlia, al contempo, di questo sistema sovvertito, di questo mondo al capovolto nel quale Visintin non può che essere additato come capobanda dei fuorilegge.