di Luigi Nicolosi

NAPOLI. «Non mi interessano gli sconti di pena, chiedo solo che mio figlio abbia una carcerazione dignitosa. Le sue condizioni di salute si aggravano sempre di più mese dopo mese. Fatelo avvicinare a Napoli, consentiteci almeno di poterlo assistere in maniera adeguata». A lanciare il disperato appello è Carmela Stefanoni, madre di Ezio Prinno, uno dei pezzi da novanta del “sistema” di Rua Catalana scardinato dalla retata del 2010. Il ras del centro storico, oggi 42enne, da tempo è infatti alle prese con alcune gravi patologie. Ma fino ad ora i giudici del Tribunale partenopeo hanno sempre rigettato qualsiasi richiesta di revoca della misura cautelare inframuraria.

IL QUADRO CLINICO. Prinno, figlio del capoclan Giuseppe, sta attualmente scontando una condanna a 17 anni di reclusione. Pesante i capi di imputazione che l’hanno inchiodato alle proprie responsabilità, in primis quello di associazione per delinquere di stampo mafioso. Il ras, 42 anni appena compiuti, dopo aver scontato la parte iniziale della pena nel carcere di Torino, si trova attualmente detenuto nell’istituto Opera di Milano. Stando a quanto riferito dai suoi familiari, le sue condizioni di salute, da tempo precarie, negli ultimi tempi si sarebbero aggravate a tal punto da renderlo incompatibile con la detenzione in cella. Ed è la signora Stefanoni, in un’accorata lettera consegnata alla redazione del “Roma”, a spiegare cosa sta succedendo: «Mio figlio - si legge nella missiva - soffre di gravi patologie. Epilessia, due ernie al disco, cardiopatia in seguito a un duplice infarto e ipoglicemia. Tutte patologie serie e gravi, mio figlio in questo momento non si sente ben curato». La donna, sulla scorta di una precedente lettera inviatale da Ezio, riferisce quindi un singolare episodio che avvalorerebbe la propria tesi: «Una sera, alle prese con febbre a 39, gli è stato somministrato un farmaco inadeguato, cioè un antibiotico, con il risultato di far salire la temperatura a 42 gradi». Stefanoni racconta poi delle tensioni che il figlio avrebbe con il personale del carcere di Opera: «Il suo diabete addirittura non fu creduto, anzi venne persino aggredito verbalmente da una dottoressa. Fatti incresciosi, per i quali mio figlio ha in seguito sporto denuncia rivolgendosi alla Procura e al Tribunale di Sorveglianza di Milano, oltre che al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Roma». Da quel momento, però, nulla sembrerebbe essere cambiato. In tutto questo Prinno, proprio a causa delle convulsioni causate dai violenti attacchi epilettici di cui soffre, da tre anni è costretto a indossare notte e giorno un elmetto di protezione: «Se lo toglie gli fanno persino rapporto», denuncia ancora la madre.

APPELLO DISPERATO. Carmela Stefanoni lancia quindi il suo appello alle autorità competenti: «Io, da madre, credo che neanche un cane vada trattato in questo modo. Il carcere deve essere rieducazione, non tortura. Chiedo soltanto che mio figlio venga trasferito in un’altra struttura più adeguata alle sue condizioni di salute. La mia speranza è che di dovere prenda delle buone decisioni in tal senso». La vicenda in questi anni è a più riprese finita sotto i riflettori del Tribunale di Napoli. I giudici, però, hanno fin qui sempre rigettato qualsiasi istanza di revoca della misura cautelare. Nell’ordinanza emessa il 28 febbraio del 2014, tuttavia, la magistratura recepiva le indicazioni in precedenza giunte dal consulente medico di parte, il quale suggeriva già all’epoca di mettere a disposizione del detenuto «una cella priva di spigoli, in modo da ridurre al minimo i pericoli in caso di caduta, e di valutare l’opportunità di trasferimento del detenuto in altra sede, possibilmente più vicina all’ambito familiare».