di Roberta D’Agostino

Luglio 1647. A Napoli, a seguito di una serie di gabelle imposte dal viceré spagnolo, il popolo insorge, capeggiato dal pescivendolo Tommaso Aniello noto come Masaniello. Uno degli episodi che più ha segnato la storia della città diventando una metafora del rapporto che a Napoli può stabilirsi tra governanti e governati.
Al teatro Sannazaro (fino al 4 novembre) va in scena questa storia, quella di Masaniello, nella drammaturgia di Elvio Porta ed Armando Pugliese, con la regia di Lara Sansone. Il lavoro s’inserisce molto bene nel discorso intrapreso dal teatro di via Chiaia che lo conduce verso una valorizzazione della tradizione con messinscene elaborate che di volta in volta stravolgono anche la struttura scenica del luogo. 
Entrando nella sala si viene quasi tramortiti dalla mastodontica scenografia, opera di Francesca Mercurio, che accoglie il pubblico frontalmente ma anche al centro della sala che per l’occasione diventa la piazza, il palazzo del viceré e che raccoglie lo spirito degli accadimenti. 
I fatti raccontati sono quelli del 7 luglio 1647, quando il popolo napoletano, già esasperato per l’eccessivo carico di tasse applicate dal viceré, insorse in piazza del Mercato contro l’aumento del prezzo della frutta. Gruppi di lazzari, guidati da Masaniello invasero la reggia, devastarono gli uffici daziari bruciandone i registri e aprirono le carceri.
Il lavoro registico della Sansone è un perfetto congegno frutto di un approfondito studio dei sentimenti che hanno guidato quel popolo: vessati, umiliati, traditi, i napoletani, in nome della libertà si uniscono per ribellarsi al governo spagnolo ma al loro interno i poteri forti con Giulio Genoino fomentano la ribellione ma in realtà fanno il gioco dei nobili. In pratica, più soggetti, sociali e politici in campo costantemente tra intrighi, rabbia, amore e follia. Diviso in due atti lo spettacolo cresce esponenzialmente: nel primo atto si assiste alla preparazione di quello che nel secondo tempo esplode con studiata esasperazione. 
Non era facile portare in scena questo lavoro che, nella versione del 1974, fu dirompente, rivoluzionario. Ancora una volta la Sansone mostra di studiare il passato per “costruire” la sua versione che mostra una convincente solidità in tutti i suoi elementi. Per quasi due ore i trenta attori danno vita ad un esaltante crescendo in cui la loro stessa vitalità contribuisce ad animare ogni spazio della sala. Si assiste ad evoluzioni continue, ad un gioco continuo di forze contrapposte che mantengono l’attenzione alta per tutta la durata dello spettacolo. C’è spazio per pezzi di bravura di Leopoldo Mastelloni, che certo non ha bisogno di confermare le sue doti, ma che ogni volta che entra sulla scena ha la capacità di fermare il tempo e gli spettatori che, ipnotizzati, ascoltano le sue tirate, e di Carmine Recano (Masaniello), Corrado Ardone (Vitale), Antonello Cossia (Genoino), Gino Curcione (Valignano), Rosario Giglio (Duca di Maddaloni), Massimo Peluso (Stenteniello), Ingrid Sansone (viceregina). Lara Sansone conferisce al suo personaggio (Berardina) una forza incredibile, con rabbia e ironia che le permettono di creare un finale di intensità unica.
Le musiche di Antonio Sinagra sono una carezza ed uno schiaffo allo stesso tempo, coinvolgenti e sentimentali, accompagnano il racconto o, forse meglio, sono il racconto dei sentimenti che si raccontano; bravissimo Daniel Auber autore delle rielaborazioni musicali. Da sottolineare anche i costumi di Luisa Gorgi Marchese che impreziosiscono il lavoro. Gli applausi di fine spettacolo sono un balsamo per tutti quelli che lavorano in teatro, ma nei dieci minuti della “prima” questa volta c’è molto di più: l’amore per la storia della città, per uno degli eroi di Napoli, amato e tradito ad un tempo, e la passione folle per un teatro che è, e sempre sarà, un pezzo fondamentale di Napoli.