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È rischioso esporre masse di pellegrini

Opinionista: 

Che sia molto difficile stabilire strategie e politiche idonee a contrastare il nuovo livello al quale si è portata la jihad islamica nei confronti del mondo europeo è chiaro a tutti. Quelli di Parigi del 13 novembre scorso, sono solo gli ultimi d’una lunga e sempre più temibile serie di atti di gravi attentati e seri propositi di destabilizzazione, portati a segno in molte capitali e città europee negli ultimi dieci anni: da Madrid a Londra, da Copenaghen ad Ankara, da Tolosa a Bruxelles, l’elenco è assai lungo. Ed anche l’attentato dell’altro giorno nella capitale del Mali all’hotel assiduamente frequentato dagli occidentali, appare come ulteriore segnale indirizzato contro gli europei, e contro la Francia in particolare, che nel Mali è da tempo presente, prima come potenza coloniale ed ora come tutrice dell’ordine. La difficoltà d’immaginare appropriate reazioni a questa vasta e ben organizzata ondata terroristica nasce soprattutto dalla complessità delle ragioni che la animano: che non sono certamente solo di carattere religioso, anche se la religione offre loro un sostegno ideologico molto importante quando si tratti di servirsi di menti deboli, al punto da indurle a sacrificare la propria esistenza in nome d’un obiettivo che mai vedranno realizzato. Perché quelle cause sono strettamente legate all’obiettivo di scomporre l’attuale, assai precario, ordine internazionale mediorientale non solo, ma anche nord e centrafricano. E s’alimentano anche ad uno dei sentimenti più terribilmente presenti nell’animo umano, come ci ha insegnato magistralmente l’opera shakespiriana, l’invidia. Una delle terribili ricadute della comunicazione immediata d’ogni informazione a livello mondiale è che in ciascuna regione del mondo è possibile avere conoscenza di quanto accade in ogn’altra e, soprattutto, di come altrove si vive. E le enormi differenze nelle condizioni di vita sono da sempre la fonte più forte e costante dell’odi e rivolgimenti sociali. Dunque è difficile immaginare quel che si potrà fare. Ma forse meno difficile è immaginare quello che non si dovrebbe fare. Nell’attuale congiuntura, Roma s’appresta ad ospitare per un anno, l’evento forse più importante del cattolicesimo: il Giubileo. E dopo gli ultimi fatti di Parigi si discute molto se non fosse per avventura il caso di rinviarlo a tempi migliori, tanto più che si tratta di Giubileo straordinario. Celebrare l’Anno Santo è evidentemente per chi fomenta lo spirito islamico, un’appetitosissima esca, quando non anche una provocazione. I cattolici sono per costoro gli infedeli da combattere, e con ogni mezzo, come dimostrano i fatti al di là delle tante vuote considerazioni che raffinati sapienti ci somministrano. Dunque, s’offre una ghiotta e duratura occasione per dimostrarsi da par loro. Ma da noi si sostiene che rinviare il Giubileo significherebbe rinunciare ai nostri modi di vita, far dettare l’agenda cattolica dal terrore islamico, rinunciare ai nostri valori fondanti. Argomentazioni senz’altro non prive di valore, ma che non affrontano il problema per quello che effettivamente è. Sono anch’esse argomentazioni ideologiche, o quanto meno ideali. E si pongono su d’un piano d’assolutismo astratto, non troppo differente da quello che alimenta la follia di molti islamici. Della cultura occidentale ha parte importante il rispetto primario della persona umana, il fatto che il sacrificio della vita in nome di astratti ideali, in linea di principio non si giustifica. Affermare che il Giubileo debba celebrarsi, perché altrimenti ci piegheremmo agli islamici, dimostra una rigidità idealistica estranea al senso critico dell’occidente ed alla relatività di valori al quale esso ha ispirato i suoi modi di vita. Il problema andrebbe posto in termini assai diversi e pragmatici: si dovrebbe compiere, apertamente o riservatamente, una valutazione dei rischi, si dovrebbe cioè stimare quante probabilità ci sono che in attentati possano perdere la vita centinaia di persone e si dovrebbe far questo secondo un principio di precauzione. E m’azzardo a ritenere, anche se non ho tutti gli elementi per stabilirlo fondatamente, che non c’è alcuna possibilità di seriamente contrastare l’infinita possibilità di attentare che un evento del genere procurerebbe. E dunque, una conclusione degna dell’Occidente avanzato dovrebbe portare a ritenere che nessuno ha il diritto d’esporre masse di pellegrini e cittadini inermi a concretissima follia omicida, in nome di astratti valori che potrebbero diversamente declinarsi. Nessuno che non pensi d’essere il Signore sulla terra e di sapere discernere quel che è giusto da quel che è fallace. Insomma d’essere come un venerabile Imam.