Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Alberi e prati, ecco quello che fu il verde di Napoli

Opinionista: 

Cari amici lettori, l’avvicinarsi della data fissata per le elezioni comunali di Napoli m’induce a ritornare sull’argomento, già affrontato tre settimane fa, di ciò che il Comune di Napoli, ai tempi di Giggino ‘e cópp’o Vòmmero, avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Scrissi allora della circolazione, mi occupo oggi del verde pubblico. Quasi certamente avete letto che lo stato dell’aria, l’elemento vitale che respiriamo, è pessimo. Del resto, non c’è bisogno di letture, poiché per convincersene basta respirare o far caso alla quantità di polvere che si deposita su mobili e oggetti. Io ho notato, per esempio, che per poter leggere e scrivere è necessario che i miei occhiali siano ripuliti dalla sporcizia che si forma sulle lenti, almeno due volte al giorno. Quella stessa sporcizia si deposita nei nostri bronchi e nei nostri polmoni, dando luogo a malattie respiratorie in crescita. La notizia che più mi ha impressionato è che l’inquinamento, oggi, è meno grave nella terra dei fuochi che nelle vie cittadine. Ciò dipende dal fatto che in quella terra, martoriata dall’uomo e quasi morta negli anni in cui Bassolino avrebbe dovuto gestire i rifiuti della Campania, è la natura a gestire il recupero. La Natura sa quel che va fatto e lo fa: la nuova vegetazione ha ripulito il terreno dai veleni in pochi anni. In quegli stessi anni la vegetazione urbana è stata devastata: una cocciniglia di origine americana ha colpito gli alberi che facevano parte – una parte essenziale – del panorama della nostra città, delle immagini sulle cartoline e del sistema ecologico napoletano. Niente d’irreparabile, ovviamente: anche i gerani e altre piante che inverdiscono i miei balconi sono spesso afflitti da quella specie di parassiti che io ho ferocemente e utilmente combattuto con gli specifici antiparassitari. Il Comune di Napoli no: è vero che i ranghi dei giardinieri, da noi contribuenti pagati, si sono ridotti. È anche vero, però, che quelli rimasti stanno negli uffici e non conoscono rimedi diversi dall’abbattimento degli alberi, cui peraltro provvedono, di solito, i vigili del fuoco, a disastro avvenuto. Restano inutili e antiestetiche ceppaie, la cui unica funzione, oltre l’imbruttimento delle strade, è quella di impedire che si piantino alberi nuovi per rimediare ai danni causati dai parassiti. Tutti sappiamo, del resto, che ogni tanto uno dei pochi alberi superstiti cade, uccidendo magari un innocente passante. Ogni danno è riferibile al fatto che tutti gli alberi di Napoli non sono curati, potati, sradicati e ripiantati. È accaduto sulla collina di Posillipo, ove tutte le strade prima alberate sono affiancate da brutti e pericolosi ceppi e lo stesso Parco della Rimembranza agonizza. Non meglio va all’altro polmone verde della città, la Villa Borbonica, poi ribattezzata Villa Comunale, che divide Via Caracciolo dalla Riviera di Chiaia. Stravolta da Bassolino, che affidò il restauro a un suo amico architetto milanese, esperto peraltro in arredamento delle abitazioni, la povera Villa conobbe le brutte cancellate che la rinserrano, i siluri adorni di supposte che la illuminano, gli chalet pacchiani che la servono. La Villa smise di essere la meraviglia vanvitelliana ammirata da Canova e da von Pückler-Muskau per somigliare a una villa comunale di paese. Poi è arrivato Giggino e ci sono state le polemiche per i vetri pacchiani della cassa armonica e, infine, l’abbandono. Il Green Care, benemerita associazione diretta da Benedetta De Falco, ha raccolto i fondi e presentato il progetto per il ripristino della Villa: ma le pastoie burocratiche hanno finora impedito al Comune di dare il via all’iniziativa La mattanza, intanto, ha creato ben 130 ceppaie, fra cui la meravigliosa Palma del Cile, censita nel Registro delle Piante Monumentali d’Italia. Anche peggio va ai prati che adornano molte piazze. Nessuno di loro è curato dal municipio, che in qualche caso ne affida la manutenzione ai privati. Se costoro non provvedono, nonostante i cartelli pubblicitari che attestano l’affidamento, nessuno se ne cura. Ritengo inutile dedicare altro spazio all’argomento. Tutto ciò che si poteva dire sulla necessità di un “piano verde” cittadino è stato già scritto da Vittorio Del Tufo e Benedetta De Falco. Siamo tutti d’accordo che l’associazionismo civico, ancorché virtuoso, non possa fare a meno della cornice istituzionale del Comune, che deve almeno censire il suo verde e poi coordinare l’intervento dei privati. Questo significa che dobbiamo aspettare il nuovo sindaco e sperare: non potrà, per fortuna, essere peggiore di Giggino ‘e còpp’o Vòmmero, ma potrebbe non essere migliore. I candidati, intanto, si potrebbero esprimere su quello che intendono fare per ricominciare da capo, salvando il poco verde che rimane e sostituendo quello perduto. Ma con i pini di Napoli, non con quelle orribili palme già moribonde che l’attuale amministrazione ha piantato in via Marina: dovete rimettere in piedi la città, non far guadagnare quattrini sporchi ai vostri amici.