Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Ci vorrebbe un E. A. Mario per un Piave “napoletano”

Opinionista: 

Ogni anno il calendario non ci fa mancare il 24 maggio. Ma non ogni anno questa data ha sempre lo stesso significato. Quella di dopodomani ha un valore tutto particolare. Ci ricorda (autore straordinario Ermete
Giovanni Gaeta) un poema: la “Leggenda” che -sul fronte dell’Italia orientale dove 100 anni fa, in queste ore, si combatteva accanitamente- svolse il ruolo che nemmeno il più bravo dei generali avrebbe potuto. Riempì di coraggio e amor di patria i soldati duramente provati. Perciò mai come quest’anno una data simbolo di vigore, di grande resistenza fisica e morale. Da allora il Piave non è più solo il fiume italiano più lungo, ma anche il simbolo storico di una strategica linea di difesa preludio a un grande successo militare. *** QUATTRO STROFE IMPAREGGIABILI. Creatività “onomatopeica” e rispetto cronologico degli eventi, ci fanno “vedere”, proprio come avrebbe fatto un inviato speciale, i soldati in marcia verso il fronte proprio il 24 maggio 1915. Magari si pensava a una guerra lampo. Invece non sarà così. Le forze austro-ungarico-tedesche sono preponderanti e super attrezzate. Il 24 ottobre 1917 infliggono una dura sconfitta all’Italia costringendola alla ritirata di Caporetto (una mossa strategica come alcuni esperti di guerre affermano?). Nel giugno del 1918 gli imperi centrali sferrano un nuovo attacco convinti di piegare definitivamente il nostro Paese. Ma l’improvvisa piena del Piave ne ferma l’avanzata e consente all’esercito italiano una orgogliosa difesa sulle sponde del fiume. Poi l’attacco finale, Vittorio Veneto e la vittoria. *** Una “Leggenda” profetica. I soldati italiani conobbero il tono “epico e colto” di E. A. Mario dal cantante Enrico Demma. D’Annunzio colse l’occasione per dire che “non c’è più se non un fiume, in Italia, il Piave, la vena maestra della nostra vita; non c’è più, in Italia, se non quell’acqua, soltanto quell’acqua, per dissetare le nostre donne, i nostri figli, i nostri vecchi e il nostro dolore”. Forse fu proprio questa reminiscenza del poeta- soldato che, nel luglio del 2008, indusse Umberto Bossi a proporre la “Canzone del Piave” come nostro nuovo inno nazionale. *** GIORNALISMO “IN ARMI”. Dal 24 maggio 1915 soldati e giornali meridionali sono insieme sui fronti. Ma il generale Cadorna temendo che i resoconti fossero troppo liberi, istituì un ufficio particolare che suscitò la protesta di Luigi Barzini (Corriere della Sera). Durante le azioni di guerra, e per gli stenti patiti nelle trincee, caddero 150 fra cronisti e inviati (merito del collega Pier Luigi Franz aver definito il numero di questi “Martiri di carta” dopo attente ricerche). Il primo a cadere fu il napoletano Manlio Pintauro del giornale “Roma”, colpito il 10 giugno in una strada di Gorizia. Dello stesso giornale era Carlo Fava. Del Mattino caddero Michelangelo Benvenuto, Vittorio Cotronei, Felice De Masi, Luigi Siconolfi. Nell’elenco dei giornalisti partenopei caduti in quegli anni, compaiono anche Nino Caravaglios, Nunzio Cervi, Mario Giampietro, Enzo Petraccone, Giulio Pitteri. Le testate da ricordare: Il Domani, Don Marzio, Corriere di Napoli, Il Giorno, Corriere del Mattino, Corriere del Vomero e di Posillipo. *** PADRE PIO SOLDATO A NAPOLI. Il 24 maggio del 1915 ci fa vedere Francesco Forgione in divisa militare. Ha 28 anni e viene regolarmente “chiamato alle armi”. Il suo percorso va da Pietrelcina all’ospedale militare della Trinità per essere assegnato alla compagnia di soccorso sanitario. Il frate “presta servizio” nella caserma Sales, in via Salvator Rosa accanto al santuario della Cesarea. Lui manifesta subito una salute precaria. Alterna licenze per “infiltrazione ai polmoni” con ricoveri nella clinica medica di piazza Miraglia. Tuttavia non si sottrae ai suoi compiti e “lavora sodo”: trasporta pesanti sacchi e carichi da un reparto all’altro, fa servizio di ronda, di piantone e di guardia, perfino di ramazza e pulizia dei gabinetti. Del tutto imperturbabile alla vita di caserma (oscenità, turpiloqui, bestemmie, soprusi) soffre in silenzio. Ma la sua sofferenza maggiore è non poter disporre di una cappella per celebrare messa ogni giorno. Divisa di soldato addosso sì, ma sempre frate e sacerdote. *** DOLOROSA PRIMAVERA. Il primo bombardamento, “oscurato dalle tenebre”, avviene a Napoli nella notte dell’11 marzo 1918. Dalla Bulgaria parte un dirigibile tedesco. Durante il raid aereo sgancia esplosivi da un’altezza di 5 mila metri. Obiettivi il porto, l’Ilva di Bagnoli, le industrie, i cantieri Armstrong di Pozzuoli. Duramente colpiti i Granili, i Quartieri spagnoli, piazza Municipio, via Toledo, Posillipo e il Corso Vittorio Emanuele. Nessuno se l’aspettava tanto che la contraerea resta muta. Solo dopo varie esplosioni il prefetto Vittorio Menziger manda alcune guardie “a vedere cosa è successo” e solo dopo alcuni giorni ci si rende conto del drammatico evento. La guerra, combattuta sui logoranti fronti orientali, passava per Napoli lasciando devastazione e dolore. *** DAL “PIAVE DELLA VITTORIA” AL SEBETO? Potremmo, un po’ arditamente, pensare per Napoli a un fiume che dia alla città passione civile, slancio morale, voglia di combattere e vincere le sfide del nostro tempo? Dal Monte Somma al mare di Santa Lucia, il Sebeto l’ha attraversata per secoli anche se più carico di storia che di acque nelle quali (1647) fu immerso e lavato il cadavere di Masaniello. Raffigurato come un vecchio imponente su un piano marmoreo, ora dell’uomo-fiume resta la fontana di largo Sermoneta. Per ridargli vita, corpo e spirito, ci vorrebbe però un nuovo, prodigioso E. A. Mario.