Comune di Napoli, dissesto inevitabile
La grave crisi finanziaria che sta attraversando il comune di Napoli non è questione di questi giorni, né è ascrivibile alla vicenda dell'ultimo pignoramento di circa 80 milioni di euro subìto dall'ente ad iniziativa del Consorzio Cr8. La questione è strutturale e risale già ai tempi della gestione Iervolino. Quando de Magistris prese il governo della città, ricorrevano tutte le condizioni per dichiarare il dissesto del bilancio cittadino ed avvalersi della relativa procedura. Si badi: la dichiarazione di dissesto, ai sensi dell'articolo 244 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali non è un'opzione facoltativa, è un obbligo che scatta al verificarsi delle prescritte condizioni. E la condizione è che l'ente non possa fare fronte ai propri impegni, né nelle vie ordinarie, né attraverso il riconoscimento dei debiti che sopravvengono al di fuori delle previsioni di bilancio. Perché, anche in quest'ultimo caso, il Comune, dopo avere riconosciuto il debito, dovrebbe trovare, ai sensi dell'art. 194 della stessa legge, le risorse per farvi fronte. E questo, nel caso di Napoli, evidentemente non è possibile. Ora, quando il sindaco de Magistris vinse le elezioni circa sei anni fa, il Comune era chiaramente decotto; ricorrevano tutte le condizioni per la dichiarazione del dissesto, ed il dissesto avrebbe consentito di liberarsi del fardello d'una massa debitoria enorme, che impedisce, non solo di fare fronte ai pagamenti in tempi accettabili – oggi si parla di otto mesi, ma non è nemmeno vero – bensì ne paralizza l'azione amministrativa, essendo la gran parte del tempo degli amministratori dedicato a barcamenarsi in mille sotterfugi per tentare d'andare avanti senza dichiarar bancarotta. La Corte dei conti sembra abbia avviato in questi giorni un'indagine per accertare la responsabilità erariale degli amministratori del Comune, ipotizzando che i ritardi abnormi dei pagamenti abbian fatto montare una cospicua massa d'interessi a carico dell'ente, che, oltre ad aggravarne ulteriormente la condizione gestionale, costituisce anche un indebitamento evitabile con il dissesto e, quindi fonte di responsabilità per chi quella decisione non ha inteso prendere. A quel che se ne può comprende, fino ad oggi il Comune ha potuto andare avanti attraverso i consueti magheggi di bilancio, presenti quasi in ogni realtà amministrativa, ma dalle nostre parti in misura non metabolizzabile. Le tecniche sono vecchie: si considerano residui attivi – crediti non riscossi nella gestione precedente – quelle che in realtà sono partite notoriamente inesigibili, oppure si prevedono entrate che non potranno mai venire o almeno non lo potranno nella misura che si dichiara d'attendere: tipico il caso della vendita degli immobili comunali, che potrà utilmente realizzarsi, là dove pure sarà, solo con tempi assai lunghi ed a condizioni non particolarmente vantaggiose. In ogni caso si tratta d'operazioni lente che non possono servire a dotare il Comune della necessaria liquidità, compatibile con i tempi della gestione amministrativa ordinaria. Di qui l'empasse in cui Napoli si trova e che dovrà condurre a dichiarare, prima o poi, il dissesto. Con l'aggravante, però, che allo stato è assai più difficile per l'attuale amministrazione farlo perché, mentre se la decisione fosse stata presa sei anni fa con tempestività, di essa de Magistris avrebbe avuto solo il merito, oggi ne porta anche la responsabilità, perché l'accertamento del default avverrebbe dopo più d'una consiliatura amministrativa affidata alle sue cure. Ma perché il dissesto non è stato allora deliberato? Probabilmente per cattivi consigli ricevuti dal nostro sindaco, che di certo all'epoca non era esperto di bilanci di enti locali. E gli avranno certamente sconsigliato la cosa, adducendo i limiti gestionali che la procedura comporta (soprattutto in termini di contrazione di nuovi mutui). Ma di cattivi consigli s'è trattato, come oggi egli può ben constatare, non solo per le ambasce in cui si trova con il giudice contabile, ma soprattutto per la paralisi che la sua amministrazione sta attraversando, sommersa com'è dall'enorme massa debitoria. Per non contare poi dell'imbarazzante opacità dei bilanci, alla quale la scelta l'ha costretto. Cosa c'è ora da fare: a mia opinione nient'altro che dichiarare il dissesto, per evitare ulteriori, gravi conseguenze. Certo, ben diversa cosa sarebbe stata una deliberazione assunta ad inizio di amministrazione, ma tant'è. Intestardirsi resistendo con disperate invocazioni d'aiuto al governo centrale ed equilibrismi contabili buone solo a rinviare – inasperendolo – il problema, non porta a molto ed anzi può anche far parecchio male.