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Congo: affari sporchi e coscienze sporche

Opinionista: 

Oggi la nostra attenzione è focalizzata quasi totalmente sulle vicende del Medio Oriente e sui combattimenti in corso nella striscia di Gaza e poco o nulla sappiamo o vogliamo sapere, invece, di ciò che sta accadendo in Africa centrale, nel nord est del Congo, regione vastissima, ricchissima oltre l’immaginabile di risorse naturali che fanno gola alle potenze mondiali, ma con una popolazione che vive o meglio sopravvive, da decenni, tra crisi politiche, guerre devastanti, povertà e precarietà esistenziali che sono spesso un vero e proprio insulto alla dignità umana. Si dirà che Gaza è geograficamente e drammaticamente vicina e il Congo è tanto, troppo lontano da noi e che sì, ci interessa, ma lo scacchiere mediorientale è molto più importante per la pace, i diritti civili e politici e l’equilibrio internazionale di quanto lo siano le regioni congolesi dell’Ituri e del Kivu settentrionale e meridionale che in questi giorni sono, di nuovo, devastate dal mostro di una guerra che, in tempi e forme diverse, si trascina dai primi anni sessanta ad oggi, ininterrottamente. Sarà così, ma il ragionamento non mi convince. E non mi convince il fatto che, in questo preciso momento, esponenti di partiti, partitini e movimenti di colore rosso, fucsia o arcobaleno, uomini in abito talare, opinionisti da salotto in servizio permanente effettivo, giornalisti un po’ tronfi e supponenti e direttori di giornale che si alternano a rotazione in ospitate mediatiche grondanti sdegno, indignazione e biasimo nei confronti dell’operazione militare israeliana nella “striscia”, parlino e scrivano di genocidio senza conoscere davvero il significato orribile del termine e di strage degli innocenti sulla scorta di una visione degli accadimenti unilaterale e manichea. Cose queste davvero imperdonabili per un’informazione che dovrebbe essere, invece, completa, obiettiva e rigorosa nella sua severità di giudizio. E ancora meno mi convincono le dichiarazioni a senso unico di esponenti delle Nazioni Unite e di consulenti sedicenti esperti di diritto umanitario che hanno manifestato, negli anni, una visione strabica della realtà, dimostrando assenza di equilibrio e simpatie ideologiche distorsive di ogni oggettiva valutazione dei fatti che caratterizzano lo scacchiere politico internazionale. Ed è così che, per tutta questo mondo di anime belle e politicamente corrette, ciò che sta accadendo in questi giorni in Congo non viene percepito come importante perché non è ideologicamente omologabile ai loro schemi mentali atrofizzati intorno a parole d’ordine fatte di luoghi comuni. Che importa se oggi il nord est del Congo è di nuovo in fiamme, se i massacri di civili innocenti sono all’ordine del giorno e sono arma di guerra per diffondere il terrore tra i nemici, se gli stupri e gli assassini di uomini e donne fanno parte del corredo di violenze perpetrate da eserciti, milizie paramilitari, fiancheggiatori civili in armi che sono tornati a gettare benzina sopra un fuoco mai sopito che non è fatto soltanto di odi etnici e tribali. Perché questa è, in realtà, soprattutto una guerra per l’accaparramento delle risorse del territorio, dell’oro, del coltan, del cobalto, delle “terre rare” che servono per cellulari, smartphone e dispositivi elettronici, tecnologie aerospaziali e fonti rinnovabili. Una guerra in cui le milizie armate rispondono agli interessi economici delle élite locali e di quelle internazionali, in una logica di sfruttamento che conduce fuori dal Congo, verso il mercato internazionale. Per carità, discorso troppo complicato e pericoloso per le anime belle e i soloni di cui sopra. “Congo, sporco affare” era il titolo di un libro degli anni Sessanta del secolo scorso che anticipava profeticamente le vicende successive di quel paese tormentato. Congo e coscienze sporche è l’equazione odierna che caratterizza il mainstream del pensiero politicamente corretto e i suoi seguaci di piazza che preferiscono non vedere, non sentire e non parlare.