Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Costa libica, svolta in un vicolo cieco

Opinionista: 

Questa settimana la notizia più importante non è, come voi potreste credere, lo spettacolo di Maradona al San Carlo o l’eco dell’ultima polemica tra Dema e Saviano. È invece, a mio avviso, l’improvviso ritorno, sull’agenda del governo italiano, del problema libico. La costa libica è, infatti, la porta aperta attraverso la quale entrano in Italia dal continente nero, accolti con il tappeto rosso e con la banda musicale della marina militare, gli invasori islamici. Il governo, dunque, ha deciso di riaprire l’ambasciata a Tripoli e il ministro Minniti ha fatto una scappata sul suolo libico per intrattenere colloqui con le autorità locali sulla questione dei migranti. La prima reazione a queste notizie è stata un sospiro di sollievo, accompagnato da un barlume di speranza. Vuoi vedere, mi son detto, che il nostro ministro degli interni, per incarico di Gentiloni o approfittando della sua malattia, vuol rimettere in funzione il trattato che, qualche anno addietro, fu stipulato tra Berlusconi e Gheddafi per bloccare l’invasione, trattenendo i migranti sul territorio libico? Una cosa molto ragionevole, dappoiché quel trattato ha funzionato fino alla scellerata guerra mossa a Gheddafi da Sarkozy, Obama e Napolitano e che gli analoghi accordi tra Spagna e Marocco stanno salvando la nazione iberica dall’invasione. Una vera e propria svolta, rispetto al mito dell’accoglienza coltivato dal papa argentino e dalle società vicine al governo che ci mangiano a quattro palmenti? La notizia, in verità, è apparsa fugacemente sui media e non ha avuto alcun seguito. Merito del nuovo governo, che ha archiviato la politica renziana dell’annuncio quotidiano pour épater le bourgeois? Ahinoi, credo proprio che la spiegazione sia un’altra: il buon Minniti, anche se animato dalle migliori intenzioni, ha fatto soltanto una piccola gita turistica. Il trattato Berlusconi-Gheddafi funzionava perché il dittatore libico aveva il controllo effettivo del paese da lui governato. Oggi, grazie alla scellerata guerra, la situazione è ben diversa. L’Italia, ossequiente ai voleri di Obama e dell’Onu, riconosce come legittimo governo libico quello di Fayez al Sarraj; peccato che Sarraj non soltanto non controlli la Libia, ma nemmeno la sua capitale Tripoli, ove dovrebbe trovarsi insediato. Alla notizia del viaggio di Minniti è seguita quasi subito quella dell’ennesimo tentativo di golpe tripolino ad opera di Khalifa Ghwell. Tobruk e quasi tutta la Cirenaica sono sotto un governo eletto (quello di Sarraj non lo è) e l’esercito del generale Khalifa Haftar, sostenuto dall’Egitto, dal Qatar e ora anche dalla Russia. Il governo di Tobruk ha fatto sapere che considera un atto ostile la riapertura dell’ambasciata italiana a Tripoli. Sembra la questione, attuale dopo la vittoria di Trump, dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Alfano, quindi, ha smesso subito di gloriarsi; Minniti non ha neanche cominciato e merita quindi un certo apprezzamento (non è un pasticcione chiassoso come lo zio Fester e nemmeno un annunciatore di miracoli come il povero Petrusiniéllo Renzi). Se l’evanescente Gentiloni e il suo duraturo governo provvisorio volessero davvero svoltare in una corsia percorribile e non in un vicolo cieco, dovrebbero realizzare due progetti abbastanza difficili ai quali Monti, Letta e Renzi non si sono nemmeno sognati di pensare: il controllo della sponda africana, appunto, e il rientro degli invasori indesiderati nei paesi di origine. Il primo progetto esige che si stringano accordi con coloro che effettivamente controllano, in Libia, la costa mediterranea e il confine sahariano: sono in parecchi, primo fra i quali quell’Haftar che, essendo amico di Putin e nemico di Obama, potrebbe risultare simpatico a Trump. Né guasterebbe un riavvicinamente a quell’Egitto che, dopo l’indecente gestione italiana del caso Regeni, è diventato un altro paese d’imbarco degli invasori. Il secondo progetto richiede accordi seri con tutti i paesi da cui provendgono gli invasori e che non sono in guerra: Tunisia, Algeria, Marocco, Senegal, Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio, Etiopia e via dicendo. Oggi gli accordi ci sono solo con un paio di paesi e non sembra funzionino, a giudicare dal numero ridottissimo di rimpatri. Ai rimpatri, poi, potrebbe provvedere la marina militare, oggi male utilizzata per l’operazione inversa. L’esperienza, inoltre, insegna che il rimpatrio non è sufficiente: occorre che gli espulsi non ritornino. Chi lo fa, dovrebbe andare incontro a punizioni esemplari, possibilmente ad opera dei paesi di origine, che non sono stupidamente buonisti come noi. Sto sognando? Forse. Ma è un sogno che deve diventare realtà, se vogliamo che il nostro popolo sopravviva. Altrimenti, ci restano pochissimi anni.