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De Magistris-De Luca, manifesta disistima

Opinionista: 

Un certo grado di contrapposizione, in politica, è elemento costitutivo. Essa è la lotta per la prevalenza tra gli interessi, una lotta che si traduce in scontri, tendenzialmente non di carattere personale, tra coloro che, nella divisione del lavoro sociale, s'assumono il compito di dare forma al bene collettivo. Vincenzo De Luca e Luigi de Magistris sono due uomini politici e dunque il confronto, con toni pure accessi, tra i due potrebbe aver giustifica in questo. Oltre che amministratori pubblici, essi si legittimano per gli spazi politici occupati, come a dire per la visibilità che acquisiscono nel diversamente interpretare gli interessi collettivi rimessi alle loro cure. In un tutto indistinto anche per l'elettore ci sarebbe ben poco da scegliere. Se il conflitto ormai stabile tra i due potesse ricondursi alle dinamiche sopra idealizzate, allora saremmo, se non proprio nella norma, quanto meno in una dialettica plausibile. Il problema, però, è che le cose sono andate assumendo un andamento molto lontano dal modello. Fra De Luca e de Magistris la relazione ha perso quasi del tutto i tratti della politicità per trasferirsi su quelli, personali, dell'intolleranza reciproca, della manifesta disistima, del punzecchiamento irritante, della ricerca instancabile dell'altrui defaillance, della molto facile sottolineatura di manchevolezze nelle rispettive azioni amministrative. Insomma, dal confronto sul piano politico – accesso quanto si voglia, ma politico, cioè a dire sugli interessi delle persone – s'è passati ad un litigio vagamente infantile e buono ad esplodere ad ogni occasione. Sino al punto che, come ormai sanno tutti i giornalisti, ed anche i loro lettori, quando per motivi istituzionali i due hanno la ventura, o forse la disavventura d'incontrarsi, s'evitano platealmente. Costringono gli organizzatori, non tanto ad occuparsi della buona riuscita delle manifestazioni, quanto piuttosto d'evitarne accuratamente il contatto, come appunto ogni buon genitore fa per evitare che vengano alle mani (o chissà, nel nostro caso, ad arma), quando previene idiosincrasie tra fanciulli. O, magari, sempre i genitori, tentano il contatto, pronti però a dividere i giovinetti, come sembra ricordare la recente visita in città del ministro De Vincenti. Ora, Napoli e la Campania hanno necessità quant'altri mai (forse pareggiate dalla sola Calabria) d'impegno totale delle istituzioni nel creare sinergie per provarsi (disperatamente) a ricostituire condizioni, anzitutto per una cosa: produrre lavoro. Senza impegnare ogni mezzo per assicurare infrastrutture tali che attività economiche siano invogliate ed inneschino lavoro lecito, è certo che non potrà esserci alcuna opportunità di ricivilizzazione del territorio, da tempo lasciato a se stesso e dunque alla devastazione ambientale, edilizia, morale. Ora, De Luca e de Magistris sono anzitutto due mandatari di questo territorio; e come ogni buon mandatario dovrebbe agire nell'interesse del mandante. Ciò vuol dire che personali ubbie andrebbero accantonate; che il gusto della battuta salace, dovrebbe esser tenuto a freno; che la tentazione di colpire l'altro per acquisire visibilità o levarsi personali soddisfazioni è un lusso che l'uomo pubblico non può consentirsi, perché non gestisce del proprio – dei propri sentimenti. Egli è l'incaricato della pubblica funzione che, in tal modo operando, non solo non viene ossequiata, ma viene gravemente pregiudicata. Certo sarebbe assai facile autogiustificarsi, per costoro: basterebbe nel loro intimo s'assolvessero, pensando che sullo sfondo c'è un interesse generale, ad esempio il governo del territorio in Bagnoli. Ma sarebbe un'autoassoluzione abbastanza, perché basterebbe considerare come le difficoltà continue e veramente erte incontrate nella quotidiana azione amministrativa troverebbero certamente più adeguata risposta se solo ci s'accomodasse in modi urbani intorno ad un tavolo per discutere, animati dall'unico interesse di superare un'impasse che dura ormai da quando i due si sono incrociati nelle rispettive cariche. I problemi di base sarebbero gli stessi, quelli infiniti d'un territorio nel quale è difficile far leva su qualsiasi suo punto; ma i mezzi per affrontarli sarebbero certamente moltiplicati se le forze venissero unite: l'unione sagace delle forze è sempre stato il senso proprio di qualsiasi aggregazione sociale, sin dalle primordiali società che vivevano sulla caccia: e la politica ha lo scopo precipuo di realizzare l'integrazione delle risorse. Ma è necessaria maturità e soprattutto quella che Max Weber nella Politica come professione chiamava l'etica della responsabilità, l'etica che impronta sulla previsione delle conseguenze delle proprie azioni; qui, mi pare, a governare sembra esservi l'etica dell'impuntatura, improduttiva in qualsiasi contesto, deleteria in quello politico. E ciò non s'addice a politici di sicuro rilievo.