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È festa, ma il mare non bagna Napoli

Opinionista: 

Vivo una passione ostinata, quasi tenace verso il capolavoro della Ortese. Lo compro costantemente, in tutte le edizioni possibili, dovunque capita. Non è voglia di accumulo, tutt’altro. È un modo silenzioso per onorarne la memoria, per sentirmi più vicino a quella storia, per non disertare l’antico rapporto con la mia città. In quelle pagine, soprattutto in quelle, vive Napoli, la sua plebe oggi involgarita, la sua bellezza insolente, spesso sfacciata. “Il mare non bagna Napoli “ non propone l’ immagine di oggi. Adesso non ci sono più portaerei americane nel porto, sigarette di contrabbando, facchini, sciuscià che puliscono gli stivali. Ora c’è solo una città condannata a mettersi in moto ogni mattina per forza d’inerzia e ad andare avanti, senza bussole, senza punti cardinali. Talvolta soggiogata da una malavita giovane, inesperta, senza pudore, violenta nel suo incedere confuso. Anche via Toledo non è più quella di una volta. Stendhal la definì “la strada più bella del mondo“. Oggi, è un brulicare di piccoli commerci, di vicoli che scendono costantemente, come vene varicose, di gente che sfila rapida, perché non ha mai conosciuto lo “struscio”. I ristoranti progressivamente scompaiono sostituiti da pizzerie, sempre più gourmet. I nuovi riti propiziatori della tavola sono tutti accompagnati dal lievito madre, dai pomodori, dal fior di latte, secondo regole antiche che qualcuno finge di trasformare in diverse. E tutti si adeguano, imitano, si appassionano. Entrano nel grande risiko del più moderno fast food, mostrando in petto la coccarda dell’ Unesco. Una città povera che, anche a Natale, marcia come può, lontano da qualsiasi sirena europea. Cui è rimasto solo l’abbagliante incanto della sua costa frastagliata e solenne. Quella che aspetta tutti i giorni il mare, per sentirsi meno sola.