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Giustizia, le commistioni tra politica e magistratura

Opinionista: 

L’eterna questione della giustizia in Italia – da non confondere con la Giustizia Eterna – viene oggi affrontata in un’ottica pienamente corrispondente alle finalità dell’Esecutivo Draghi: un Governo messo su con un compito ben preciso e noto, quello di tenere i conti in salvo; ed in salvo soprattutto l’infrastruttura bancaria che, ove fosse seriamente danneggiata, porterebbe con sé il crollo del Paese e non solo del nostro. Dunque, una riforma che dovrebbe dare risposta all’aspettativa di efficienza, incidendo essenzialmente sul fattore della durata dei processi, in Italia i più tardigradi d’Europa, e di gran lunga: se non ho mal visto, a Malta, che ci segue in classifica, i giudizi civili impiegano circa la metà del tempo che consumano i nostri per giungere alla sentenza definitiva. Naturalmente, la durata dei processi è un problema reale, perché incide sulla circolazione giuridica e quindi di ciò che è preposto a tutela della realizzazione del credito nei rapporti economici d’ogni sorta. Come pure, nel processo penale, fondamentali sono due esigenze che si fronteggiano e spesso contrastano: la certezza nell’applicazione della pena e la ragionevole durata dei processi. Ora, le proposte avanzate, abbastanza deboli per il processo civile, appena un po’ più consistenti per quello penale, si rivolgono ad aspetti strutturali: la riduzione dei riti civili (peraltro già abbastanza limitati), riduzione delle fasi processuali, stimoli alla collaborazione tra parti e giudici; per il processo penale, interventi sul regime della prescrizione dei reati (con lo scopo di favorire la definizione celere dei processi), introduzione di disincentivi agli appelli, ampliamento di riti alternativi. Il tutto ancora abbastanza in fieri, ma più o meno queste sarebbero le riforme da presentare all’Europa. Nessun intervento è previsto con riguardo ai protagonisti del processo, giudici ed avvocati. Eppure, solo un ingenuo non sa che le leggi sono quello che gli operatori del diritto fan loro essere. Che quando qualcuno è negligente, si ha voglia d’introdurre istituti e commi, l’effetto sarà pari quasi a zero se chi è chiamato a dar loro esecuzione mancherà d’atteggiamento collaborativo o, peggio, si opporrà allo spirito delle riforme. Racconto un’istruttiva, recente storiella che m’è occorsa. Qualche giorno fa, in un processo civile, un giudice avrebbe dovuto assumere rapidamente una decisione, ritardando la quale – come gli è stato spiegato – l’interessato avrebbe perso circa € 20.000 ad ogni sorger di sole. Ma quel giudice era sul punto d’andare in ferie ed ha tenuto a dichiarare che le sue, le ferie, erano sacre. Sicché solo se avesse avuto tempo, avrebbe emesso la decisione. Che non ha emesso ed è andato spensierato in ferie. Dove si fosse svolto il processo di canonizzazione (esso sì assai celere) che aveva finito con l’elevare a sacertà le proprie vacanze, rendendole intangibili, quel giudice proprio non l’ha spiegato, l’ha dato per noto; quel che conta, però, è che sino a quando tali mentalità non saranno estirpate dall’ordine giudiziario – che non dovrebbe atteggiarsi a deteriorato ufficio impiegatizio d’un mandarinato, ma dovrebbe sentirsi appunto giurisdizione, massima espressione responsabile dello Stato di diritto – fino a quando ciò non accadrà, ogni riforma, è facile presagio, rimarrà sulla carta, come sulla carta son rimaste quella mezza dozzina (per dir delle principali) che dal codice di procedura civile del 1940 in poi sono state approvate senza cavare un ragno dal buco. E fino a quando gli avvocati italiani ammonteranno a 5 volte il numero dei colleghi francesi – da noi sono l’abnorme numero di 240.000 – essi non fungeranno da primo filtro nella domanda di giustizia, ma interpreteranno il deleterio ruolo di moltiplicatori, per la semplice, sovrana ragione: il piatto da porre in tavola. Quanto al processo penale, lì la situazione è della massima gravità: l’assoluto arbitrio nell’esercizio dell’azione penale e nel modo di sostenerla nel corso delle indagini e del processo; e l’enorme discrezionalità che caratterizza il momento del giudizio in cui si valutano prove sempre non univoche e significanti solo per l’interpretazione che ne dà il giudice; questi due concorrenti elementi rendono chi ha il potere dell’iniziativa nel processo – il Pubblico Ministero – e chi ha quello della decisione (un po’ meno) – il Giudice – signori pressoché assoluti dell’esito finale. Cosicché qui tutto è nel modo in cui si reclutano i magistrati ed in cui s’avanzano nella carriera a fare il prodotto finale. Insomma, è la mentalità del giudice, i criteri ai quali affida la decisione, che fanno il processo penale. In Italia abbiamo avuto la fortuna di poter capire come le cose vanno in quell’ambiente, grazie ad uno scandalo – oportet ut scandala eveniant, si dice parafrasando il Vangelo di Matteo – che va sotto il nome di uno dei suoi protagonisti, l’ex pm Palamara. Gli addetti e i conoscitori di quell’ambiente sapevano tutto; ma lo scandalo serve a rompere il velo d’ipocrisia. O almeno dovrebbe servire, ed insegnare. Ascose commistioni tra politica e magistratura, spartizione d’importanti uffici per interessi particolaristici, politici o di bramosie incontrollate; approfittamenti e meschinità d’ogni sorta; immaturità psicologiche da regressione infantile. Insomma, ogni sorta di deviazione è venuta alla luce. E soprattutto è venuto a luce che i processi e le indagini non nascono da oggettive emergenze, ma da scelte personalistiche assunte nel perseguimento di finalità di parte, che conducono ad autentiche persecuzioni come ad indicibili occultamenti. Tutto ciò, che è quanto di più grave, nemmeno viene sfiorato dal progetto di riforme in atto. Per carità non ne provo meraviglia: il programma del Governo attuale non ha ad oggetto il cittadino (se non incidentalmente) ma le banche ed i potentati economici. Però, bisogna saperlo, per non cader dal pero, quando domani le cose saranno rimaste nella sostanza eguali: salvo che il solo Palamara ha perduto il posto, e la giustizia (forse) procederà un po’ più spedita, calpestando più risolutamente e celermente i diritti del cittadino.