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Ignoranti e trasformisti ma tutti Fratelli d’Italia

Opinionista: 

È la più classica espressione della legge del contrappasso. Dopo 70 anni abbiamo ufficializzato un inno nazionale che, esegesi musicali a parte, gratifica un Paese, ma al contempo soffriamo la pena di essere fuori dai prossimi Mondiali di calcio dopo 60 anni. Un giovane genovese riusciva a creare una poetica "parvenza" di appartenenza, oggi un genovese in stato confusionale, la distrugge, almeno sul piano calcistico, visto che nella realtà non è mai esistita. Certo, parliamo di una debàcle sportiva, niente in confronto ai grandi ed irrisolti temi sociali, ai terremoti, alle inondazioni, alla disoccupazione che migliora un giorno sì e l'altro no sulla falsariga di miseri decimali, eppure è dalla funesta serata milanese di lunedì che se ne parla senza sosta, perchè, inutile negarlo, il calcio è lo specchio più veritiero, crudo e attuale dell'immagine Italia. Ne abbiamo scritto da tempo, forse anche prima di commentatori più accreditati, ma non si finisce mai di sprofondare nel buio e nella personale e generale constatazione di come, alla pari dello scenario politico, il mondo del calcio riesca a mettere d'accordo, grazie alla vile pecunia, personaggi un tempo considerati degni di credito culturale (vedi Ulivieri ed altri) su posizioni arroganti, ignoranti e segnate dal trasformismo, come quella di Tavecchio e sostenitori. Dal 2006 siamo nell'elite dei maggiori vincitori di Mondiali, ma paradossalmente da allora vegetiamo di diritto nel terzo mondo (se ancora esiste) desertico e arido di uno sport in costante caduta libera, privo di una seria programmazione, di una nuova progettualità riformatrice che ponga al centro dell'impegno il coinvolgimento di strutture giovanili anche scolastiche, la ricerca e la coltivazione intelligente di nuovi talenti, e un completa rifacimento dell'impiantistica sportiva: esempio più evidente di tale incuria il "nostro" San Paolo. Sembra di parlare della infinita stagione romana delle beghe della "coglioneria canaglia" politica, della stessa mortificante assenza di senso civico e dedizione, che purtroppo in un calcio divenuto prigioniero felice di ricatti economici miliardari non è contemplato, vigendo la legge del commercio non quella dell'onore nazionale. Nonostante la vittoria, nel 2006, c'erano già i sintomi iniziali di una malattia invalidante. Con un colpo di teatro degno delle migliori scene, riuscimmo a ribaltare la vergogna per lo scandalo scommesse in un punto fondante della cavalcata mondiale: Buffon avrebbe dovuto piangere e chiedere scuse pubbliche allora, insieme a qualche altro compagno di merenda. Ma non avremmo avuto il Buffon di oggi, grandissimo portiere certo, ma arrogante attore consumato ai canovacci di palazzo, furbo imprenditore ed al tempo stesso giocatore contrito, nella migliore tradizione italiana di chi si appresta ad appendere le scarpe al chiodo e reinventarsi in ruoli federali proficui. Oppure, perché no, pronto a scendere in politica: "Datemi una lacrima, una lacrima per il mio pubblico", direbbe un improbabile Riccardo III. I soldi erano già divenuti business ineludibile piuttosto che premi o bonus dovuti. Perfino per giornalisti sportivi di terz'ordine, costretti per anni a mangiare la polvere di Brera, Ormezzano e compagni, si intravedeva la luce del profitto, con la girandola vorticosa di partecipazioni alle serie infinite di teletrasmissioni sportive nazionali e caserecce. Autoreferenze e faccia di bronzo, a qualsiasi livello, hanno rovinato il resto, con giocatori finiti, privi di una cultura ed una capacità mentale eguale a quella dimostrata con i propri piedi, catapultati e pagati come opinion makers, che galleggiano ancora oggi nell'universo digitale del telecomando. In qualsiasi paese con una coscienza etica nazionale, si darebbe inizio ad una necessaria pur dolorosa, ricostruzione dopo una severa rottamazione di un sistema che ancora gode di tale audience, ma ciò in Italia è soltanto utopia. Siamo figli ingordi ed adoranti di un matrimonio perfetto fra calcio e imprenditori o media senza scrupoli, sono finiti i tempi (purtroppo antieconomici e perciò antistorici) dei presidenti tifosi...ma tranquilli, il campionato della Var e dello "ius della sola" ritorna. Perciò, un patriottico "tiremm innanz", siamo tutti Fratelli di questa Italia caciara e fedifraga e perchè la leggenda dell'Araba Fenice non appartiene al nostro Dna culturale.