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Il lungomare di Napoli è il più bello del mondo

Opinionista: 

Nell’immaginario collettivo la via progettata da Errico Alvino e da Gaetano Bruno, da largo Sermoneta fino a Castel dell’Ovo, e intitolata all’ammiraglio Francesco Caracciolo e a Partenope (la città dell’8° secolo a.C.), rappresenta la parte più ammirata della città, grazie, sopra tutto, alla sua panoramicità sul golfo di Napoli. Hanno contribuito a renderlo unico alcune peculiarità quali: il suo tracciato avvolgente a forma di falce, consolidato nell’iconografia storica di un secolo e mezzo, la bellezza del muro di ripa che lo eleva di circa tre metri sul livello del mare e la grande Esedra che, a metà del suo tracciato, ne interrompe la continuità e che, attraverso due comode gradonate, la collega con il piazzale curvilineo sottostante, destinato sin dall’inizio all’approdo delle barche dei pescatori e a un mercatino del pesce. Per il loro valore storico e architettonico la via Caracciolo e la Esedra, denominata Rotonda Diaz in omaggio al Maresciallo della Vittoria, il cui monumento è posto proprio alle sue spalle, sono tutelati nella loro integrità da vincoli paesaggistici e monumentali. Va detto però che hanno alterato l’originario splendore di via Caracciolo e della Rotonda Diaz le scogliere frangiflutti in pietra calcarea bianca, poste a pochissima distanza dal muro di ripa (le intercapedini sono diventate delle vere e proprie discariche di rifiuti di ogni genere che, raramente, catturano l’attenzione delle pubbliche istituzioni) e l’arenile formatosi davanti alla Rotonda Diaz che, protetto da un’alta scogliera, è diventato il lido balneare degli abitanti del “pallonetto” di Chiaja, che, per la mancanza delle attrezzature proprie degli stabilimenti balneari, è noto come “lido mappatella”, privo di qualsiasi servizio igienico, affollato nei mesi estivi da migliaia di donne, bambini e anziani, che si tuffano in acque di dubbia balneabilità. Di qui la necessità di rimuovere queste “manomissioni” con un progetto di restauro filologico di via Caracciolo e di via Partenope che preveda: 1) la rimozione di tutte le scogliere a ridosso del muro di ripa di via Caracciolo da Mergellina fino a Castel dell’Ovo e di quella antistante la rotonda Diaz, e nella realizzazione di scogliere soffolte, poste a una distanza sufficiente per impedire alle mareggiate di raggiungere il muro di via Caracciolo e di invadere la sede stradale (si tratta di realizzare qualcosa di simile a una barriera corallina); il tal modo si eliminano le intercapedini e si ridà ai napoletani e ai turisti l’occasione di ammirare in tutta la sua bellezza il muro di ripa curvilineo col suo paramento di pietre vulcaniche e col suo parapetto costituito dalla sequenza ritmica di muretti di mattoni e di balaustre in tubolari di ferro (ovviamente dopo i necessari interventi di restauro); 2) la eliminazione dell’arenile a ridosso del piazzale sottostante la Rotonda per ripristinare la sua condizione originaria, quella voluta dai progettisti e dagli altri ingegneri che nel corso degli anni si sono occupati di via Caracciolo, e per evitare il riproporsi del lido “mappatella”, che costituisce la vergogna di una città civile, al di là di ogni demagogia e di nostalgie insensate (una nota scrittrice napoletana ha scritto “l’arenile di via Caracciolo era la Polinesia della nostra giovinezza”; una sciocchezza sesquipedale); 3) la pedonalizzazione del viale Dhorn, da annettere alla Villa comunale e da destinare, nei mesi primaverili ed estivi, a spettacoli teatrali, a concerti di musica sinfonica e alle mostre dell’antiquariato del libro e del mobile. Riportare il lungomare di Napoli allo splendore del suo primo giorno è un compito al quale non possono sottrarsi l’Amministrazione comunale, la Soprintendenza ai Beni paesaggistici e la regione Campania.