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Il Procuratore sognatore che ricostruisce la società

Opinionista: 

All’indomani dell’operazione sobriamente denominata “Rinascita Scott” che ha portato all’esecuzione di 334 arresti oltre a qualche migliaio d’indagati, il Procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, che dell’indagine è titolare, ha usato parole non da poco. È una giornata storica per la Calabria, ha detto. Alla cui costruzione egli ha lavorato, inseguendo «un’idea, una strategia, un progetto, un sogno, una rivoluzione», sin dal giorno successivo a quello del suo insediamento. Quando si è proposto di «smontare la Calabria come un treno Lego e poi rimontarla piano piano». Vasto programma, avrebbe pensato altri, Charles De Gaulle, politico, lui, d’alto rilievo. Ma qui ci troviamo dinanzi ad un Procuratore sognatore, e la cosa è ben diversa. Se di un giorno storico s’è trattato, è un po’ presto per dirlo, direi proprio un azzardo, anche perché siamo appena alla fase degli arresti. Tante volte s’è parlato di svolte storiche e maxi-processi; poi le cose sono rimaste identiche a prima. Non ultimo perché la questione criminale non si risolve nemmeno con una catasta di arresti, bensì incidendo sulle condizioni di possibilità del suo infiltrarsi pervasivo nel tessuto sociale. Anche dinanzi a questo, peraltro, il Procuratore Gratteri non sembra scoraggiarsi; deve avere la sua ricetta, se è vero quanto riportano i resoconti della sua conferenza stampa, ed abbiamo pure noi riportato. Perché dopo la parte destruens è già pronta, nelle strategie del capo degli inquirenti reggino, quella construens, perché egli la Calabria la vuole rimontare piano piano. Sì, proprio così sembra abbia detto. Del resto, egli ha chiarito d’avere una propria strategia, che intende seguire con determinazione. Quale essa sia, non ha inteso parteciparcelo, forse perché coperta dal segreto delle indagini. L’importante è che ci sia. Non voglio continuare sul filo dell’ironia, certamente di cattivo gusto dinanzi ad un Procuratore che ha di sicuro impegnato una parte importante della propria esistenza per condurre indagini, indubbiamente difficili, meritorie ed aspre. Epperò, non è possibile rimanere del tutto silenti dinanzi ad affermazioni che delineano un’ideologia giudiziaria assai distante da quella che istituzionalmente richiesta per un Procuratore della nostra Repubblica – il cui ordinamento vede del magistrato, anche inquirente, un funzionario con compiti di persecuzione del crimine. Il Procuratore Gratteri ha parlato non da magistrato, bensì da politico che, legittimato dalla comunità democratica in cui vive, ne ha affidate le sorti, presenti e future. Non solo egli ha dichiaratamente affermato d’avere seguito una strategia – dunque, non d’avere perseguito reati sulla base delle notizie crimine a lui pervenute o da lui di seguito ricercate – bensì d’avere formulato un disegno – per di più rivoluzionario – di sovvertimento della realtà regionale nella sua integralità. A dimostrarlo, il numero certo non lieve di arresti. E non solo, perché, come visto, il Procuratore Gratteri ha anche in mente di ricostruire la società e, se mal non ho letto, ha già esortato la popolazione per bene – categoria per vero non agevole da definire – ad occupare gli spazi che egli ha liberato dalla delinquenza. A parte l’ottimistica visione, a me pare che tutto ciò abbia poco da condividere con il ruolo riservato nel nostro ordinamento alla Magistratura. Quella penale dovrebbe punire il crimine, contribuendo a disincentivare le deviazioni; favorire la costruzione e la ricostruzione della società sarebbe il compito della politica, alla quale è riservato di costruire strategie, sottoponendole all’elettorato e poi attuandole. Non sono così ingenuo da non comprendere che simili ripartizioni non esistono nella realtà; che in una società ben fatta si realizzano sinergie e le varie funzioni – anche quella giurisdizionale – realizzano politiche, attuano programmi, orientano a vario titolo ed in differenti modi, più informali che formali, le aspettative delle comunità. Il problema è che questa attività politica va riconosciuta e conseguentemente regolata. Se però fate notare un fatto del genere all’ambiente togato, verrete, quando v’andrà bene, irriso e vi s’opporrà che il giudice applica la legge, è un tecnico, che ogni discussione sul punto mina la sua autonomia ed indipendenza. Le parole di Gratteri le avrei accettate davvero di buon grado, se fossero state pronunciate da un Procuratore capo della Repubblica eletto dal popolo tra qualificate persone, sulla base d’un preciso programma di politica criminale, preventivamente esposto e sul quale il consenso si fosse formato. Quando proviene da un funzionario stipendiato che compie le sue scelte nel chiuso del proprio ambiente, la cosa non mi piace più. Perché assume un senso molto diverso, direi un senso autoritario, unilaterale, formato nell’oscuro ed imperscrutabile campo della singola coscienza. E soprattutto non concorre affatto a fare sviluppare quella sensibilità civica, che si realizza quando alle decisioni si partecipa con cosciente responsabilità. Invece qui tutto resta sospeso per aria, tra diffidenza e disincanto, quegli stessi sentimenti che si sono maturati per una lunga esperienza dell’immutabilità delle cose.