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Il sipario strappato e i limiti di Tavecchio

Opinionista: 

Sipario. Tavecchio stacca la spina   e volano scintille. In tutte le   direzioni. Il commiato, a ben   guardare, appare sufficientemente mesto.   L’ex presidente federale parla   apertamente di complotto, una scena   già vista in tante, tristi occasioni del Belpaese.   Sciacallaggio politico, prima che sciacallaggio   sportivo. E il fatto che la politica,   a pochi mesi dalle elezioni, abbia   inciso e deciso sul suo destino è dato,   comunque, inequivocabile. Le sortite   del presidente del Coni, Giovanni   Malagò, e, ieri, del ministro dello   Sport, Luca Lotti, hanno sostanzialmente   anticipato il suo capolinea. Sono   state queste posizioni a spostare   l’ago della bilancia, a convincere la   Lega Dilettanti, tradizionalmente legata   a Tavecchio, a spostare i suoi sei   voti sul dissenso. E a lui non è rimasto   altro che presentarsi dimissionario ed   aprire poi il suo fuoco incrociato in una   lunga conferenza stampa.   Ma la sensazione che Tavecchio fosse   inadeguato per quel ruolo viene, oggettivamente,   da lontano, viene dalle   mille gaffe della sua gestione da cabaret.   Un campionario che ha messo in   imbarazzo il calcio italiano anche a livello   internazionale. Dalla favola di   Optì Pobà (che prima mangiava banane   e poi giocava titolare nella Lazio),   alla trasformazione degli stadi   (luoghi dove trovare, secondo lui, anche   il supermercato, la farmacia e la   lap dance). Dagli ebrei (“non ho nulla   contro di loro ma è meglio tenerli a   bada”) alla parità di genere (“le donne   sembravano un soggetto handicappato   rispetto al maschio. Abbiamo, invece,   riscontrato che sono simili”) .   Una sfilza di errori, cadute di stile, inadeguatezze   che hanno, nel tempo, creato   seri imbarazzi al calcio e all’intero   sistema sportivo italiano.   E si sa che in un mondo del genere,   sempre più pieno di velluti e diplomazie,   prima o poi, situazioni del genere   si pagano puntualmente.   Inutilmente, Tavecchio ha provato a   snocciolare i suoi successi: l’arrivo   della Var, la completa ristrutturazione   di Coverciano, il seggio di vicepresidente   dell’Uefa per il fedelissimo Uva,   le 4 italiane in Champions dalla prossima   stagione. Tutto è svaporato dietro   quell’eliminazione dai mondiali vissuta,   ormai, come un lutto nazionale,   ancora tutto da elaborare.   Adesso, si aprono orizzonti nuovi. Tavecchio   ritiene doveroso restare in carica   per i prossimi 90 giorni di interregno,   il presidente Malagò ha già convocato   per mercoledì la riunione per il   commissariamento, escludendo probabilmente   ogni figura del passato.   Ma guardiamoci negli occhi. Il calcio   italiano, con i suoi interessi miliardari,   non può essere appaltato da pochi   personaggi, spesso inadeguati. Deve   essere guidato da un grande manager,   di livello assoluto che guadagni quel   che merita la sua professionalità e non   i 36mila euro lordi annuali del presidente   attuale. Una svolta vera, autentica   che dinamizzi un settore lungamente   fossile, che sia capace di affiancare   anche le grandi esperienze dei   campioni del calcio, quelli che hanno   saputo rendere un mito le loro imprese   sportive. Un mix che dia, finalmente,   credibilità al settore, consentendo   di vivere il futuro con legittime, diverse   ambizioni.