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Il trasformismo, vergogna da cancellare

Opinionista: 

I padri costituenti sapevano benissimo nel 1946 che in tutto il mondo democratico solo il Capo dello Stato rappresenta la Nazione e che il parlamentare rappresenta il partito che lo ha messo in lista e gli elettori che lo hanno votato col mandato vincolante di attuare le promesse fatte dal partito e da lui. Quando cambia opinione deve solo dimettersi. Ma hanno commesso la sciocchezza di scrivere: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Non immaginavano che l’articolo 67 della Costituzione avrebbe favorito e legittimato il fenomeno del trasformismo. Per sostenere nel 1881 il governo di Agostino Depretis alcuni parlamentari della Destra passarono alla Sinistra. “E non per motivi ideali ma per interessi personali” (lo scrisse De Pretis nelle sue “Memorie”). E fu allora che nacque il fenomeno tutto italiano del “trasformismo”, ossia il passaggio dei parlamentari da un gruppo all’altro, largamente praticato nel Parlamento italiano, sia monarchico che repubblicano. Mi limito, per brevità, a ricordare che nell’ottobre 1998 i parlamentari di Clemente Mastella lasciarono la Casa della Libertà di Berlusconi per favorire la nascita del governo D’Alema in sostituzione del governo Prodi. E nessun pm sospettò che questa operazione avesse aspetti corruttivi. Li denunciò e parlò di “mercato delle vacche” Antonio Di Pietro quando il 14 dicembre 2010 la mozione di sfiducia presentata dalle Opposizioni contro il governo Berlusconi venne respinta per soli tre voti, 314 contro la mozione e 311 a favore. Risultarono determinanti i voti contrari dei deputati finiani Catone, Siliquini e Polidori e dei deputati dipietristi Scilipoti, Cesario, Calearo e Razzi. Un risultato inopinato che spinse l’allora segretario dell’Italia dei Valori a chiedere l’intervento della magistratura nella convinzione che questi deputati erano stati “corrotti” da Berlusconi. E alcuni pm della Procura di Roma accolsero la denuncia ma rinunciarono a proseguire dopo avere constatato che questi parlamentari si erano comportati nel rigoroso rispetto dell’articolo 67. Per avere un’idea di questo fenomeno basta pensare che in soli 18 mesi ben 235 tra deputati e senatori sono passati da un gruppo parlamentare all’altro. Tant’è che l’attuale Parlamento è totalmente diverso da quello uscito dalle urne del 24 e 25 febbraio 2013. Un fatto vergognoso, che ci copre di ridicolo in tutto il mondo. Perciò anche Beppe Grillo del M5S si era convinto della necessità di abrogare l’articolo 67. Ma poi ci rinunciò. Da questi accadimenti ho tratto la convinzione che i comportamenti parlamentari resi leciti dall’art.67, anche se deprecabili, non configurassero reati penali, qualunque fosse la motivazione. Perciò mi ha lasciato stupefatto la decisione di alcuni pm della Procura di Napoli di rinviare a giudizio Silvio Berlusconi, accusato di avere “corrotto” l'ex senatore Sergio De Gregorio con 3 milioni di euro (una somma spropositata) “con l'obiettivo di sabotare il governo Prodi nell'ambito della cosiddetta Operazione libertà (…) che ha rappresentato un colossale investimento economico diretto ad ottenere l'unico risultato che interessava all'uomo Berlusconi, ossessionato solo dalla volontà di mandare a casa Prodi e prenderne il posto". E mercoledì scorso i pm hanno chiesto una condanna a cinque anni di reclusione. Lungi da me l’idea di contestare l’impianto accusatorio e la richiesta di condanna. Non ne ho alcun titolo. Mi limito a ricordare che il passaggio di DeGregorio al centrodestra è avvenuto nell’aprile 2006 e che il governo Prodi è caduto nel gennaio 2008 perché gli hanno votato contro Domenico Fisichella, ex An eletto nelle fila della Margherita, i liberaldemocratici Lamberto Dini e Giuseppe Scalera, Clemente Mastella e i due senatori dell’Udeur. Il solo voto contrario di De Gregorio non sarebbe bastato. Un fatto è certo e indiscutibile: senza l’articolo 67 non ci sarebbe stato nel 1998 il governo D’Alema, il governo Berlusconi sarebbe caduto nel 2010. E nel 2006 De Gregorio non sarebbe potuto passare da Di Pietro a Berlusconi. Perciò va abolito.