Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

La dignità di una scelta non è un bene alienabile

Opinionista: 

Michele Gesualdi, 74 anni, vittima da poco più di tre anni dell'impietosa irreversibilità della Sla, simbolo del biotestamento, è morto dietro una mascherina di ossigeno. Siamo certi che nonostante fosse un fervente cattolico - era stato un dei primissimi allievi di don Milani - se, nonostante il suo appello, le Camere non avessero “fatto presto”, e Gesualdi stesse ancora vegetando in uno scheletro prigione e prigioniero, avrebbe scelto, in un ultimo gesto di dignità, di passare a “miglior vita”. Il dibattito sull'accanimento terapeutico e sull'eutanasia non finirà con la pubblicazione in Gazzetta della legge sul biotestamento, una buona legge di compromesso, nella quale, a nostro parere, l'articolo riguardante il minore non è affatto esaustivo, anzi può dare luogo a “voli interpretativi” molto discutibili, sui metodi d'informazione e sulla “soglia” della corretta comprensione da parte di un minore. Come può esserci libera scelta, diciamo ad esempio, fra i 7 ed i 10 anni? Ma in generale come può configurarsi una scelta di dignità umana per un minore, senza avere il sospetto di un preciso intervento dei genitori o del fiduciario? Spesso dimentichiamo la tortura psicologica, il drammatico e debilitante coinvolgimento, sia fisico che emotivo, dei familiari o di coloro che assistono, quasi sempre impotenti, all'inesorabile sentenza di una malattia terminale, all'inutile ritmo meccanico dei macchinari extracorporei, ma resta un dato incontrovertibile, sia dal punto di vista laico che religioso: nessuno può arrogarsi la libertà di scelta di una personale decisione di un altro individuo. In un panorama politico, sfiorito, incartapecorito come buona parte dei suoi eterni “cavalli di ritorno”, o insulso come l'intelligenza dei suoi nuovi outsiders, avere la facoltà di “staccare la spina” sarebbe motivo di giustizia sociale, un gesto d'amore verso il Paese, eppure anche costoro, per la nostra Costituzione, hanno diritti, non quello della perduta dignità e credibilità, ma quello della ribalta, in questo paese di burattini e pupari. Così va il mondo, ma grazie a Dio, ogni tanto si vede una luce, quella accesa dalla pm Tiziana Siciliano, quella che tentano di spegnere i nemici nell'ombra di Papa Francesco, quella che ci lascia come lume di speranza, Michele Gesualdi. La morte è un postulato della vita. Credenti o meno, noi costruiamo un'esistenza che dal primo vagìto intraprende un percorso di cui conosciamo già l'esito, e che possiamo travalicare soltanto con parole, opere e comportamenti che ci consegnino “all'immortalità della memoria” del mondo o dei nostri cari, perché anima o no, è l'oblìo, l'oscuro incubo di ognuno di noi, il vero inferno sulla terra e nell'aldilà. Se avessimo il coraggio di uscire dai canoni del senso etico comune, diremmo che la sacralità della vita non può prescindere da quella della morte e che l'eutanasia, la buona morte, non esiste come concetto di vita o filosofico, ma è solo l'ipocrisia prolungata di un aborto mancato. Molto più etico il concetto di suicidio, perché attiene alla volontà e, d'accordo o meno, ad una sceltà di dignità estrema, altrimenti come la metteremmo con gli eroi, quelli accettati anche dalla Chiesa, che hanno sacrificato la vita per salvarne altre non perchè stanchi della propria? Esiste un suicidio onorevole ed uno deplorevole? È la continua parodia del potere. Si blatera tanto, troppo a sproposito della dignità della morte, ma la realtà è ben altra, non c'è alcuna dignità nel morire, solo un senso di carità verso se stessi e chi ti circonda. È un momento così intimo che va affrontato in silenzio e solitudine. Chiudiamo con le parole di Papa Francesco: “La dimensione personale della vita e del morire stesso... deve avere, nella cura e nell'accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell'essere umano”. La svolta rivoluzionaria è nel suo rifiuto dell'accanimento terapeutico, nel ricordare che al centro di quel microcosmo resta sempre la volontà del malato, mai sostituibile da un “pool” meramente scientifico o da partigiane manipolazioni normative.