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La musica e un balcone per ritrovare la Nazione

Opinionista: 

Diciamo la verità: è stata un’emozione. Diamine, alzi la mano chi in questi giorni non si è commosso ascoltando la voce di Pino Daniele sbucare dai palazzi di Napoli, affacciarsi ai balconi del Vomero come alle finestre dei Quartieri Spagnoli. La alzi chi non si è emozionato, anche ieri pomeriggio nella trasmissione di Mara Venier su Rai1, sulle note di “Abbracciame”, di Andrea Sannino, incamminatesi per le strade deserte. E poi l’Inno di Mameli e quei tricolori impugnati come armi sulla linea del Piave delle nostre case. Chi l’avrebbe mai detto: la Nazione è rinata sul balcone per respingere un nemico sconosciuto e inavvertibile; un Male Oscuro che ci soffoca i polmoni, seminando morte e sofferenza tramando nell’ombra. Contro l’avversario invisibile, contro il virus che ci allontana, insidia i rapporti sociali e lo stare assieme, è scesa in campo Sua Maestà la musica. E in un attimo ci siamo ritrovati. Ci siamo messi a cantare tutti insieme, come pensavamo di saper fare solo allo stadio. Nel tempo di Spotify, degli Mp4 e delle altre diavolerie internettiane che ci rinchiudono nei nostri mondi virtuali affollati d’illusioni, avevamo dimenticato cosa vuol dire cantare assieme. E farlo per restare uniti. Per questo le voci e le canzoni in queste sere illuminate di Napoli e di mille altre città d’Italia sono state un lampo nel buio. Mentre tornano in ballo i fondamentali della vita e della morte, della malattia e della solitudine, la melodia ci ricorda che l’anima non si ricovera. Né quella individuale né quella collettiva. Ecco perché la musica diffusa in questi giorni di prigionia di massa è più che mai il simbolo di una comunità e di una cultura. L’emblema di chi non vuole arrendersi al cospetto di una minaccia anonima e spaventosa. La musica per resistere e prepararsi a ripartire. Peccheremo forse di retorica ingenua, ma ai balconi non c’erano sono solo le note; non c’era soltanto il ritornello di questa o quella canzone sentita chissà quante altre volte; non c’era solamente il frenetico battimani per dire grazie a medici e infermieri che combattono nella trincea di questa guerra che ha già fatto oltre 3.500 vittime. No. Affacciati ai balconi c’eravamo tutti noi. Pronti ad inscenare l’evasione di massa delle nostre anime, finalmente libere di circolare cavalcando le note che si diffondevano, volteggiando leggere su un asfalto che mai ci era apparso così lontano. È così che per un po’ siamo scappati da questo enorme Poggioreale nel quale il virus maledetto ci ha rinchiusi. La musica come antidoto all’ospedalizzazione delle nostre anime. Alla stregua dell’arte o della preghiera. In quella musica, però, abbiamo anche riscoperto improvvisamente di essere ancora un popolo. Cosa che avevamo dimenticato. L’idea di cantare insieme per trascendere le distanze, di tornare ad abbracciarci idealmente condividendo una canzone, esorcizza la paura e ci fa sentire più uniti e meno deboli. Uno scudo contro il castigo calato dal nulla. Pandemia. Pan-demos. Tutto il popolo. La musica è componente essenziale della cultura di una Nazione. Riappropiarcene tutti insieme, mentre torniamo a guardare in faccia il dolore e lo sgomento - dopo aver sacrificato tutto alla dea Ragione - è un po’ come mettersi alla ricerca delle risposte ultime. È come provare a spiegare l’inspiegabile. Mentre ci scrutiamo sospettosi dietro mascherine improvvisate, ci scopriamo nudi di fronte all’irreparabile. Non abbiamo più fedi da invocare, né illusioni da coltivare. Tutto è bruciato alle nostre spalle. Eppure, il ritorno di un sentimento collettivo che si aggira sicuro tra le macerie delle nostre angosce, è segno che forse non tutto è ancora perduto. La musica contro il Male Oscuro è la speranza che rinasce.