Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

La scuola, le prove Invalsi e la furia misurativa

Opinionista: 

Il ritorno a scuola del 26 aprile è certamente una ventata di speranza per il mondo della scuola e in particolare per i suoi attori principali, docenti e studenti. Si avvertono i timidi segni di un ritorno alla normalità, all’orizzonte del prossimo anno. La presenza di tanti studenti nelle scuole determina un incremento della mobilità generale e con esso una condizione potenzialmente più favorevole per la trasmissione del virus. Ma è questo un “rischio calcolato“ e ci piace chi si sia affermato così il coraggio della ragione più che della volontà. Se si leggono le cronache locali dei giornali si potrà constatare la presenza di tanti articoli che riportano la notizia di scuole e classi in quarantena, in didattica a distanza, di focolai anche spaventosi per velocità di trasmissione, numeri di contagi ed età media molto bassa dei contagiati. Purtroppo non disponiamo di dati certi e organici in quanto il Miur non pubblica i numeri della epidemia in sede scolastica, ignoriamo quindi il numero complessivo di classi in quarantena o delle scuole totalmente chiuse, nonostante il monitoraggio che viene richiesto settimanalmente alle scuole, a cui diligentemente le scuole rispondono, pur in mezzo a tanti problemi. Il Miur raccoglie i dati di tutto lo scibile scolastico, ma questo non eleva automaticamente su tutti gli aspetti rilevati, il suo grado di conoscenza delle cose reali. Nella attuale situazione le scuole stanno cercando di gestire l’emergenza in sicurezza. Forse non c’è più il panico dei mesi trascorsi quando l’insorgenza di una situazione di contatto o di un caso positivo gettavano ombre fosche sulle giornate di tutti. La maggior parte del personale scolastico è semi vaccinato. Il contagio, purtroppo, corre soprattutto tra gli studenti. In questo quadro emergenziale il Miur, attraverso il suo braccio misurativo, l’Invalsi, ritiene di poter effettuare senza alcun problema e come se tutto fosse stato e fosse normale, il programma di prove nazionali per testare le competenze degli studenti italiani. Verrebbe da pensare, maliziosamente, che la sede dell’Invalsi sia su qualche pianeta dove la notizia di una pandemia sul pianeta Terra non sia ancora arrivata. Così, mentre le scuole sono alle prese con gli effetti dannosi di due anni scolastici dettati dai tempi del virus, dall’inquietudine e dalla emergenza continua, mentre si tenta faticosamente di dare risposte di senso al gigantesco disagio scolastico e psicofisico dei bambini e degli adolescenti, Invalsi procede nella sua affermazione di potenza di fronte alle scuole, stremate dopo due anni drammatici e inenarrabili. Le scuole vengono incalzate nella organizzazione delle giornate di somministrazione delle sacre prove, chiarendo, con improbabile sussulto di pietà, che gli alunni in quarantena o in didattica a distanza per “fragilità” sono esonerati dalla effettuazione dei test. Vi è da chiedersi allora da dove derivi un tale clamoroso scollamento tra realtà scolastica e governo della scuola. Una delle risposte potrebbe risiedere nella “ignoranza” del contesto, nella incapacità intellettuale delle istituzioni nazionali di darsi una conoscenza esatta della realtà umana e organizzativa che vivono attualmente le scuole. Ma c’è di più, l’Invalsi in questo suo furore valutativo e antistorico conferma come la natura del sistema scolastico sia decisamente avvolto da un istinto misurativo, quantitativo, ispettivo, che non riguarda soltanto aspetti del macrosistema scolastico ma anche la didattica e il processo di insegnamento/apprendimento. L’Invalsi vuole misurare l’azione delle scuole, oggi e sempre, così come nelle scuole italiane gran parte del tempo didattico si impiega nelle verifiche e nelle misurazioni/valutazioni, oggi e sempre. Questo è il segno più evidente di un sistema che non funziona, che valuta un processo che non c’è stato, ma vuole valutarlo lo stesso; questo è un sistema in cui le interrogazioni, anche ai fantasmi della scuola, ai ragazzi che la pandemia ha abbattuto del tutto, sono sacre e inviolabili. Questo furore misurativo macro e micro sistemico potrebbe essere il segno di una pagina pagine a cultura educativa in disarmo, anzi, di una cultura educativa astratta e intemporale, una difficoltà a comprendere che fare scuola ed essere scuola significa promuovere apprendimento prima ancora che misurarlo. Significa chiedersi se gli anni trascorsi da uno studente a scuola siano serviti a crescere, a maturare, a imparare, oppure siano stati vani. Perché la scuola deve sempre combattere contro la percezione della sua inutilità. Deve sempre affermare il senso della sua finalità, che è la centralità della persona. Lontano da questo “centro”, ogni azione diventa inutile.