Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

L’Albergo dei Poveri non deve diventare la nuova Bagnoli

Opinionista: 

Mai come oggi è attuale l’idea di rinascita che ha portato alla realizzazione di Palazzo Fuga, l’Albergo dei Poveri, complesso sorto in epoca borbonica con l’obiettivo, da un lato, di dare accoglienza e supporto agli ultimi, dall’altro, di fornire gli strumenti necessari per consentire il loro inserimento sociale e produttivo. Una forma di progettualità illuminata, di alto profilo civico, che ha sposato il fine assistenziale con quello pragmatico. E così, per centinaia di anni, la struttura monumentale, una delle più grandi costruzioni settecentesche d’Europa, accanto agli spazi di accoglienza, ha ospitato opifici, scuole, botteghe in cui fornire insegnamento e dare la possibilità ai giovani di apprendere un mestiere o una professione: vere e proprie “fucine” per le nuove leve e la formazione di cives. Oggi, i “diseredati del Regno” sono i giovani che non riescono a trovare occupazione, menti ed energie da strappare alla malavita organizzata, sono gli uomini e donne a cui restituire cittadinanza, sono i napoletani che hanno bisogno di strumenti per il riscatto. La città ha una grande opportunità con i fondi previsti dal Pnrr per il recupero del complesso, anche se - nessuno lo ricorda - la scheda inviata per ottenere l’inserimento nel plan, prevedeva un finanziamento di 300 milioni. Dunque i 100 milioni di euro destinati a Palazzo Fuga possono essere solo una base di partenza, che però deve andare nella giusta direzione di impegno. Il percorso da seguire è quello di far diventare la direttrice Piazza Carlo III-Via Foria fino al Museo Nazionale - asse riqualificato di ingresso alla zona storica, con Palazzo Fuga - la cartolina di ingresso alla città e il polo sinergico - con il Museo Nazionale e le altre strutture museali - il mezzo per il rilancio, anche sotto il profilo della riqualificazione urbana, dell’intera area. Oltretutto, il comparto restauro in sé rappresenta per Napoli una ulteriore fonte inesauribile di lavoro specializzato, con una enorme possibilità di occupazione in vari campi, a partire dalle maestranze. Insomma, ci sono tutte le condizioni per recuperare lo spirito che ha generato Palazzo Fuga. Avverto però il pericolo che la ritualità della politica e l’ipocrisia di una certa area intellettuale - male atavico di questa città - possa farsi spazio e paralizzare il progetto nel solito teatrino dei veti incrociati e del protagonismo di facciata. Ecco perché non mi iscrivo nella lista degli entusiasti del webinar promosso dal ministro Carfagna, “100 idee per l’Albergo dei Poveri”. Dietro l’entusiasmo autentico di alcuni, sono già iniziate a balenare le solite evoluzioni da passerella, a partire dai candidati sindaco delle sinistre, pronti a mettere in campo retorica, contraddizioni e luoghi comuni e sordi alla necessita di partire dall’ammissione delle responsabilità, addirittura in alcuni casi, proprie. Alessandra Clemente - che ha parlato di “percorsi di formazione, di artigianato, come sfida di benessere pubblico delle persone” - ha dimenticato di essere, assieme a de Magistris, la principale protagonista di un’amministrazione che ha fatto delle vuote promesse, dell’immobilismo e della mancanza di fattività, a ogni livello, addirittura un modello di governo, con danni incalcolabili. La “scelta centrale” prospettata da Bassolino, quella dello spostamento nei locali dell’Albergo dei Poveri della Biblioteca Nazionale, fornisce l’immagine plastica di un provincialismo culturale che decenni di gestione del potere non sono riusciti a scavare fino in fondo. La cultura è elemento imprescindibile per qualsiasi popolo ma non la si valorizza facendo ricorso a vetusti simbolismi. E poi, a chi ha governato città, regione e ha fatto persino il Ministro del Lavoro come può sfuggire la necessità primaria di un intervento che sia leva per contribuire a combattere l’atavica fame di lavoro serio, stabile e dignitoso di tanti figli di Napoli? È la cultura del lavoro il bene primario per recuperare la speranza. Dalle parole di Gaetano Manfredi - concentrato nel sostenere l’idea di un recupero graduale senza spiegarne modalità e contenuti - mi ha addolorato sentir riecheggiare la retorica del “passo dopo passo” che ha accompagnato proprio l’intera stagione del suo attuale avversario interno, Bassolino. Come non temere, dietro l’apparente concretezza e cautela di queste abusate parole, il riemergere della logica del tirare a campare, che si nutre di immobilismo e lascia spazio solo ad interventi circoscritti e funzionali a sostenere gli appetiti del ceto politico e professionale che lo sostiene? Triste dirlo, specie di fronte a figure che comunque meritano stima e rispetto, ma “nulla di nuovo ad est”. Ecco perché le elezioni devono diventare l’occasione per allontanare il rischio che l’Albergo dei Poveri si tramuti in una nuova Bagnoli, rimanendo ancorata a un altro termine con il quale lo si conosce a Napoli: il “Serraglio”, sinonimo di carcere e luogo da cui non si può uscire. Noi, e lo ha ben detto il candidato del centrodestra, Catello Maresca, pensiamo invece che la strada giusta sia quella di “partire dai precedenti impieghi, destinati a giovani e indigenti ma proiettarsi anche con una visione moderna e polifunzionale”. Accanto alla ristrutturazione degli spazi, insomma, la vera scommessa è quella di finalizzare gli interventi ai percorsi formativi di qualificazione e di riqualificazione. Nella sfida del mondo globalizzato ma acciaccato dalla pandemia, il mercato, più che mai, chiede e premia lavoro specializzato e artigianale, di qualità: un lavoro che sia espressione di unicità e di bellezza, merce rara che le catene di montaggio e di sfruttamento non sono in grado di realizzare. Mettere tutto a sistema in un contenitore dal grande respiro storico e culturale è l’ambizione più grande che noi abbiamo. Completare, dopo 300 anni, l’Albergo dei Poveri è il segnale che serve a dire all’Italia e al mondo che Napoli è capace di portare a termine le cose. Dopo 35 anni di malgoverno delle sinistre chiediamo di avere l’opportunità di provarci, forti della nostra onestà, delle nostre idee, del nostro coraggio visionario.