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Le armi indispensabili per battere i terroristi

Opinionista: 

Ci sono date che costituiscono un sasso d’inciampo e quel sasso d’inciampo può diventare pietra angolare. Una di queste date è certamente venerdì 13 novembre; una data dell’orrore com’è stata giustamente definita e sulla quale ci sembra non si possa non tornare poiché quel che è accadutoa Parigi è evento di tali dimensioni da non poter essere annoverato tra quei fatti di cronaca che, prima o poi, finiscono nel dimenticatoio. Per questo, nonostante su queste stesse colonne vi siano stati autorevoli interventi, ci sembra utile tornare sull’argomento. Come affrontare questa tragica emergenza? Come far sì che da sasso d’inciampo, essa si trasformi in pietra angolare? Per rispondere a questi interrogativi non c’è che da far riferimento ad un antico ammonimento, frutto della saggezza popolare, secondo cui quando la casa brucia tutti devono deporre inimicizie e contrasti e correre a spegnere il fuoco. L’Europa, l’Italia, sono nel mirino di biechi terroristi. L’Italia e l’Europa – è questo il significato della metafora – devono, quindi, in primo luogo al loro interno, far fronte comune per combattere con efficacia l’attacco che viene portato nei loro confronti. La nostra può apparire un’affermazione retorica, al limite della banalità. Non è così. Perché è sufficiente leggere i commenti che sono seguiti ai tragici avvenimenti parigini per rendersi conto che, di fronte a quel che è accaduto, c’è chi ha tentato di far prevalere la strumentalizzazione; di trasformare il lutto in propaganda; di speculare nel più ignobile dei modi. Chi scrive non ha particolare simpatia per Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese. Ma come non apprezzare (vero, Matteo Salvini?) l’annuncio della Le Pen di sospendere la campagna elettorale nella convinzione che vi siano fatti sui quali non è possibile dividersi perché la posta in gioco trascende le pur legittime divergenze? Eppure, in anni non lontani, il nostro paese, minacciato da un’ondata di follia terroristica, seppe dare una grande prova di compattezza dinanzi al pericolo che quell’ondata di follia comportava. Erano gli anni bui delle stragi, degli attentati quotidiani, dell’assassinio di Aldo Moro e della su scorta. E fu la capacità delle forze politiche di far prevalere gli interessi nazionali rispetto a quelli di parte, a salvarci. L’unità, di fronte allo stato di emergenza nel quale l’Italia era precipitata, fu la forza che consentì di battere il terrorismo. Purtroppo questa volta non è così ed è questo uno dei motivi (non pochi) che ci inducono a ritenere che non ci siano molte ragioni per preferire la cosiddetta Seconda Repubblica alla Prima. Va detto, peraltro, che non siamo soli. È tutta l’Europa, confermando la sua fragilità, a dimostrarsi incapace di trovare la propria unità, pur in circostanze tanto drammatiche. C’è un secondo motivo di riflessione che la tragedia parigina ci suggerisce. Abbiamo letto e sentito, in questi giorni, molte parole. Un’orgia di retorica e di banalità. Ma non ci sembra che i tanti commentatori che si sono cimentati nell’analisi di questa orrenda vicenda, si siano soffermati sul tema centrale, quello sul quale, a nostro modesto giudizio, occorrerebbe accendere tutti i riflettori: chi finanzia l’Isis? Chi riempie gli arsenali di questo Stato fantasma che sembra dotato di immense disponibilità e di armi sofisticatissime? Noi, poveri cittadini in balia degli eventi, non possiamo saperlo. Ma l’esperienza suggerisce un’antica pratica che già duemila anni or sono induceva il saggio Seneca ad affermare nella sua “Medea”, per bocca della protagonista di quella tragedia, che “colui al quale il delitto porta vantaggi, egli l’ha compiuto”. Si fa gran parlare della necessità di intensificare al massimo, in casi come questo, l’attività delle Intelligence, chiamate a svolgere un ruolo centrale in guerre del tipo di quella che stiamo combattendo. E’ giusto. E certamente una delle cause principali di quanto è accaduto a Parigi è il fallimento clamoroso dell’opera di prevenzione che avrebbe dovuto svolgere l’Intelligence francese. Ma, allora, non possiamo non domandarci se non sarebbe opportuno che le Intelligence di tutto il mondo si dedicassero proprio a questo: a individuare chi tragga vantaggio dai crimini dell’Isis chi, per conseguenza, armi la mano di quella caricatura di califfo che è Abu Bakr al Baghdadi, falso interprete di quell’Islam del quale, nei fatti, è il principale nemico.