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Le sardine: speranza da non demonizzare

Opinionista: 

Un nuovo protagonista ha fatto prepotentemente irruzione sul palcoscenico, già piuttosto affollato della politica italiana: è il "popolo delle sardine" per contestare Matteo Salvini, con una manifestazione organizzata da quattro giovani a Bologna. Dopo aver raggiunto in pochi giorni decine di migliaia di adesioni, "le sardine" si accingono a replicare in molte altre città la performance bolognese. Ma chi sono questi giovani capaci di raccogliere così vasti consensi senza disporre di un proprio apparato? C'è chi vede nel loro movimento una riedizione del Sessantotto, chi attribuisce a Romano Prodi la segreta regia delle loro iniziative, chi ipotizza l'esistenza, dietro di loro, se non di Prodi, di chissà quale manovratore. L'identikit da essi stessi proposto all'opinione pubblica non è, di per sé, sufficientemente illuminante. Si autodefiniscono di sinistra, avversari del populismo salviniana, apartitici, ma non apolitici. Non basta per capire, anche se fornisce una qualche indicazione. Ma il proclamarsi "di sinistra", in un paese come il nostro dove di sinistre ve ne sono più d'una non definisce un'identità, come non la definisce l'antisalvinismo, per positivo che lo si possa giudicare. E, quanto all'essere "apartitici" e non "apolitici", è affermazione che ci sembra contenere una non piccola dose di ipocrisia perché se realmente si vuol far politica è difficile, in un sistema come il nostro, prescindere dalla dimensione partitica. Detto questo, e assolto, per onestà intellettuale, con le riserve che abbiamo espresso, il ruolo dell'"avvocato del diavolo", non possiamo non accogliere con una qualche simpatia l'irruzione del "popolo delle sardine" sulla scena politica. Almeno all'apparenza, questo "popolo" porta una ventata di freschezza in un mondo affondato in acque stagnanti, perduto in mediocri manovre, dominato da azzeccagarbugli travestiti da leader. E vien da pensare al gesto, forse un po' istrionico, com'era nella natura del personaggio, ma indubbiamente dotato di forza simbolica con il quale Gabriele D'Annunzio - si era nell'anno di grazia 1900 - deputato della destra moderata, deluso dalla mancanza di spinta ideale del suo gruppo di appartenenza, si trasferì sui banchi della sinistra gridando: "Questa è la morta gora, vado verso la vita". Ci permettiamo, quindi, di dissentire da quanto affermato, su queste stesse colonne, dal collega Aldo De Francesco, pur sempre attento e acuto nelle sue analisi, che attribuisce al "popolo delle sardine" i connotati di una "sinistra stantia". Non siamo d'accordo perché, forse peccando di eccessivo ottimismo e condizionati dalla speranza che nella "morta gora" della politica italiana, finalmente s'accenda un elemento di novità, non c'è la sentiamo di bocciare, sin dal suo sorgere, questo movimento. Affermano di proporsi, in primo luogo, la lotta al dilagante "salvinismo". Non è sufficiente, l'abbiamo detto. Ma ci sembra un proposito apprezzabile , al di là del merito, se davvero  queste "sardine" vogliono porsi come antitesi alla rozzezza della politica leghista. La forma ha valori che non possono essere ignorati, anche in un mondo come quello politico. Crediamo, comunque, che, al momento, sia prematuro esprimere giudizi definitivi, positivi o negativi che siano, sui “nuovi arrivati”. Non ci importa, peraltro se il "popolo delle sardine", nella toponomastica politica debba essere considerato di destra, di centro o di sinistra. Partiamo, piuttosto, dalla constatazione che il mondo politico italiano è ormai precipitato al livello più basso della sua storia. E allora, se nel buio si accende una lampada (magari destinata a spegnersi presto) non la spegniamo. Aspettiamo e speriamo.