Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Levammece ’sta maschera e diciamo tutta la verità

Opinionista: 

Il verso della celebre canzone napoletana di Fusco e Falvo, del 1930, dal titolo “Dicitencelle vuje”, è un invito a togliere la maschera che nasconde i sentimenti e la nostra  realtà interiore per mostrarsi come effettivamente siamo, in sincerità e verità. Da sempre, infatti, l’uomo si è interrogato su cosa fosse la realtà e cosa si nascondesse dietro l’apparenza. “Persona”, in lingua latina, significa letteralmente maschera d’attore e il termine ha finito con l’indicare il ruolo che viene recitato nella quotidianità dall’uomo che è costretto, spesso suo malgrado e talvolta scientemente, a indossare una maschera, a recitare una parte per farsi accettare dalla società, offrendo un’immagine di sé che non corrisponde alla sua vera natura. Luigi Pirandello ha utilizzato la metafora della maschera per mettere a nudo la ricerca continua della nostra identità e, al contempo, l’opportunismo e l’abitudine utilitaristica d’indossare una maschera che sia conforme a ciò che le regole sociali ci impongono. Ma, secondo lo stesso Pirandello, questa può diventare una maschera di piombo dalla quale l’uomo, a volte, cerca di liberarsi come da una trappola e tuttavia, quando e se riuscirà a levarsela, verrà visto dagli altri come un pazzo, un folle, una sorta di scheggia impazzita sfuggita alla perfezione artefatta, ingannatrice e ipocrita delle regole della costrizione sociale. Tutto ciò evoca sentimenti contrastanti e non può non richiamare alla memoria il ruolo e la simbologia assunta, per esempio, dalla mascherina al tempo della pandemia da coronavirus, nella quale questo strumento ha rappresentato in maniera inscindibile una forma di tutela dal virus e di difesa per se stessi e gli altri, ma anche, purtroppo, una nuova costrizione che ha finito con l’imbavagliare e distanziare gli uomini dal proprio sé e dal proprio prossimo. La famosa mascherina è diventata, così, per un lungo periodo di tempo, il simbolo-feticcio di una nuova epoca di disumanizzazione e negazione dell’identità, fredda, asettica e imperniata su “inputs” precisi, ripetuti in modo ossessivo, così da generare una sorta di acquiescente claustrofilia forzosa e una sostanziale sterilizzazione emozionale: distanziamento sociale, quarantena, limitazione. Tutte cose che sembrano ora appartenere a un passato remoto, ma che, invece, hanno caratterizzato e condizionato la nostra recente quotidianità. Ma questo è solo un esempio, uno dei tanti e non è neanche l’ultimo. Pensiamo alla neolingua e alla rivisitazione della storia, dell’arte e della vita che le mode del politicamente corretto di una certa sinistra, la “cultura della cancellazione” e l’impostura “woke” e falsamente progressista vorrebbero ancora tentare di imporci. Non sono forse una tragica maschera, una vera e propria “maschera di ferro” che mira rinchiudere le forme della libertà di pensiero e di espressione delle opinioni divergenti? E quanti altri esempi potremmo ancora citare in proposito? Per questo, oggi più che mai, abbiamo il dovere di lottare per esprimere con coraggio e convinzione, con forza e in via definitiva, quel volto vero delle cose, la loro “realtà”, la loro vera natura, contro ogni falsificazione e ogni ipocrisia di pensiero, per uscire definitivamente da quella desolata terra di confine in cui qualcuno vorrebbe relegare la forza morale e l’identità della Nazione.