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Lo Stato assente nel giorno del lutto

Opinionista: 

Ancora sangue. Nel giorno dei funerali di Maikol Giuseppe Russo la camorra non si ferma e ammazza tra la folla di un bar di Melito un altro giovane ventenne. Questa volta, però, non ci sono dubbi: Luigi Di Rupo era il vero obiettivo dei killer. Ma ciò che colpisce è l’incredibile somiglianza tra le due vittime. Stesso taglio di capelli e pizzetto. Stessa corporatura e abbigliamento E ancora: Maikol era un onesto lavoratore e padre di famiglia che abitava a Forcella nel quartiere del boss Sibillo, Di Rupo era amico del capoclan e con lui fu arrestato e scarcerato in un summit ai Decumani. Tutte coincidenze ora al vaglio degli investigatori. Intanto nel giorno della cerimonia religiosa lo Stato ha deciso di non essere presente a Forcella perché ci sono vittime e vittime, innocenti di serie A e di serie B. Maikol è uno di questi. Perché forse morire a Forcella sull’uscio di un bar è un rischio che si può correre. Ieri mattina nella chiesa dell’Annunziata si è indignata solo una parte degli abitanti del quartiere, gli amici del 27enne, i suoi familiari che non hanno più lacrime da versare e basta. L’“altra” Napoli, quella dei salotti, ma soprattutto quella della politica, era assente. Lo Stato ieri ancora una volta ha perso la propria battaglia contro la camorra, scegliendo di non metterci la faccia. Maikol lo piangono i suoi cari, il suo rione e nessuno più. Se fosse nato al Vomero, se non avesse avuto un lavoro precario, se avesse avuto la madre medico e il padre ingegnere, se suo fratello invece di fare il barista per 120 euro a settimana, fosse stato un piccolo imprenditore, chi avrebbe sfilato nella fredda chiesa dell’Annunziata alle sette del mattino? Tanti, forse troppi. Irrispettosi sicuramente del lutto della famiglia, ma vogliosi di mostrarsi solidali con il comunicato pungente e puntuale. Maikol è una vittima innocente della barbarie che oramai passa in sordina e quasi non riesce neanche più a valicare una strada ed arrivare dall’altra parte della città. E quindi è permesso non indignarsi più di tanto perché nei vicoli di Napoli si è comunque marchiati a vita. L’arte dell’arrangiarsi per molti è l’unica strada per non entrare nei clan e finire o in carcere o ammazzato. Ma Maikol è morto comunque. Nelle ultime 72 ore gli investigatori hanno ascoltato tutte le migliaia di intercettazioni telefoniche e ambientali alla base degli arresti di quasi cento persone in tre anni nella sola Forcella. Lo hanno fatto per essere sicuri che quella di piazza Calenda fosse l’ennesima atrocità. Il nome di Maikol non è mai comparso, mai pronunciato da alcuno, perché nessun camorrista lo conosceva. Eppure è morto e nessuno si è indignato. Un omicidio, quello di Maikol, che purtroppo sin dal primo momento è stato macchiato dalle insinuazioni. Come fu per Luigi Galletta, il meccanico parente di un boss della “paranza dei bambini”, come fu per Genny Cesarano, il 17enne assassinato a piazza San Vincenzo alla Sanità. Perché per “l’altra” Napoli quando si muore ammazzati nei vicoli della città c’è sempre un motivo. E invece anche questa volta non è così. Maikol è innocente, lo Stato no.