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Mascherata grillina e un premier ambiguo

Opinionista: 

Ora viene il bello, se si farà questo matrimonio d’interesse M5S-Pd, tra tira e molla e ricatti, considerando le umorali, volubili mire dei grillini. A farcelo dire non è un pregiudizio ma la constatazione, di minuto in minuto sempre più credibile e evidente per l’abbondanza di dichiarazioni confuse, di una impossibile sintonia tra la cultura del Partito Democratico e la incultura conclamata dei Cinquestelle, anche per esplicita ammissione del suo profeta massimo, che ha trovato finalmente ciò che cercava: la terra promessa Pd e il manuale Cencelli. Bando a ogni illusione: un patto di governo non può durare, reggersi su una somma di convenienze, ma presuppone a monte, come base indispensabile, un collante di obiettive convergenze di eminente respiro civile e formativo, al di sopra di ogni motivazione convincente, soggetta tuttavia a imprendibili mutazioni. Indipendentemente dalla buona volontà e dalla benevolenza del Presidente Mattarella, che vigila dal suo acutissimo osservatorio del Quirinale. Questo è il limite genetico più preoccupante e insidioso di un esperimento bis di Governo che, nell’immediato o alla distanza, può affiorare con carica dirompente. Avvelenando ancora di più un clima politico, che sarebbe già stato diverso si fosse orientato verso un altro incaricato per cercare di varare un nuovo esecutivo e non verso colui che ha retto quello precedente, chiusosi con uno sciame polemico, di cui questi è stato il fomentatore più velenoso. Quando Calenda ha annunciato di lasciare il Pd in disaccordo totale con un patto di potere scellerato, ancora in via di perfezione e di impresa improba, e lo ha motivato, affermando: “Io sono sempre stato per il dialogo con tutti ma non posso dialogare con chi non ha i miei stessi valori”, ha voluto riferirsi proprio a questo patrimonio formativo, largamente carente nei Cinquestelle. Difatti se n’è andato non per trasmigrare altrove ma dichiarando di non disperare di tornare nella sua casa madre nel momento in cui si chiuderà questa infausta esperienza. Una presa di distanza che gli ha dato già ragione non solo per gli ultimatum che giungono in queste ore con gesti e atti da democrazia svilita ma anche per un passaggio molto discutibile, anzi inaccettabile, del discorso, pronunciato da Conte, subito dopo la sua investitura, in cui il vecchio e nuovo camaleontesco ufficiale timoniere del M5S ha detto di volersi ispirare all’umanesimo per la nuova nascente fase politica con il Pd. Non poteva dire una fregnaccia più gigantesca. O non si è reso conto di quanto detto o lo ha detto convinto di essere nel giusto. In altri tempi sicuramente qualche esponente del Pd lo avrebbe bacchettato per essersi mascherato con evocazioni simili ma oggi il mercato delle poltrone consiglia riserbo. Qualcuno dica a Conte che l’umanesimo fu una stagione splendida, tra ‘400 e ‘500, di scoperte, di invenzioni, di iniziative, che diede vita al nostro Rinascimento tra Napoli, Firenze e Milano con la presenza di corti memorabili, luoghi di arte e di cultura sovrane in quel tempo, l’opposto di ciò che fino ad oggi l’oscurantismo pentastellato ha dimostrato di essere, da nemico della conoscenza e il partito del no. Conte non può dire cose che il suo movimento di riferimento, che di partito ora si tratta, non ha mai mostrato di condividere con la sua favola della decrescita felice governata da “paletti e forbici”. A proposito di umanesimo vorremmo ricordare al premier euro-americano che, in quel periodo, fu inventata la stampa e nacque l’editoria che, il pentastellato Crimi, secoli dopo, ha privato di fondi indispensabili, dando quel giorno la comunicazione dei tagli con queste parole: “Annuncio con grande soddisfazione…”. Abbiamo di proposito voluto rimarcare questo abisso culturale, con un modo dire molto efficace. Ora verrà il bello, per ricordare che una cosa sono gli intrighi di Roma per brama di poltrone, di status symbol senza il quale nella Capitale non c’è vita. Altro è il territorio, sono le Regioni, le Provincie, i Comuni, dove la politica non è solo e sempre calcolo ma sentimento e ideale. La volontà di trasferire in modo meccanicistico in periferie le formule di governo centrale non risultò in anni lontani né vincente né gradita. Si illude Zingaretti di poter fare oggi quello che leader storici e di ben altro spessore tentarono di fare in passato. Renzi già conta i giorni, servendosi di gruppi parlamentari di indiscussa fedeltà, per fargli la festa, anche con l’aiuto del nuovo “umanista” Conte. Eroe addirittura dei tre mondi: Italia, Europa e America. Intanto dalla Campania il governatore De Luca continua a pensarla come la pensava prima del Governo giallorosso: Di Maio e compagnia sono delle mezze pippe.