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Napoli, antifascisti ma intelligenti

Opinionista: 

Credo che Napoli sia l’unica cittàitaliana che non abbia conosciutala furia della defascistizzazione dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio1943 e proseguita dopo la fine della Repubblica di Salò il 25 aprile 1945. In quella temperie il Foro Mussolini venne chiamato Foro Italico (a Milano conservano gelosamente il nome di Foro Bonaparte, dedicato all’imperatore che, nel dare vita a una repubblica ispirata ai valori della rivoluzione del 1789, sostituì la dominazione austriaca con quella francese). E fu ribattezzata Latina la città di Littoria, realizzata dal fascismo assieme a Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia nelle risanate paludi pontine. Ammirate da Le Corbusier quando venne in Italia su invito di un gruppo di architetti razionalisti, presieduto da Adalberto Libera. “La bonifica delle paludi pontine sono un titolo di merito del fascismo sul quale noi giovani di sinistra, negli anni in cui il confine fra torto e ragione sembrava così certo, abbiamo ingiustamente sorvolato”, ha scritto l’antifascista Corrado Augias. A Napoli gli antifascisti si limitarono a spicconare i fasci littori dalle facciate degli edifici pubblici e a rimuoverli da tutti gli ambienti dov’erano stati collocati; a cambiare i nomi degli ospedali collinari: il “Principi di Piemonte” venne ribattezzato Vincenzo Monaldi e il “23 marzo” (data della fondazione dei fasci di combattimenti del 1919 in piazza San Sepolcro di Milano) venne dedicato all’illustre clinico Antonio Cardarelli; a intitolare a Giacomo Matteotti la piazza Duca d’Aosta, realizzata nel nuovo rione Carità degli anni ‘30. Ma nulla di più. Gli antifascisti napoletani non ebbero nulla da eccepire alla conservazione dei pali della pubblica illuminazione posti dal fascismo in via del parco Margherita e in un tratto del corso Vittorio Emanuele, recanti alla base un grande fascio littorio in rilevo. A differenza degli antifascisti di Lucca che, nel 2002, minacciarono di querelare il sindaco per apologia del fascismo perché, avendo ritrovato in un vecchio magazzino alcuni lampioni per la pubblica illuminazione di epoca fascista ( con il fascio littorio) ne aveva disposta la installazione in piazzale Ricasoli. Ignoravano che il Campidoglio e la Casa Bianca di Washington sono pieni di fasci littori senza alcun rischio per la democrazia americana. Gli antifascisti napoletani furono d’accordo sulla opportunità del restauro del grande affresco su una parete del padiglione dell’Impero, ribattezzato Cubo d’Oro, raffigurante il Duce a cavallo eseguito negli anni ’50 in occasione della ricostruzione della Mostra d’Oltremare e del Lavoro nel Mondo, inaugurata nel 1952. Nel padiglione c’era un grande mappamondo in bronzo che metteva in evidenza le colonie africane e i possedimenti italiani d’oltremare. Questo prezioso cimelio è misteriosamente scomparso nella indifferenza delle autorità preposte alla tutela dei beni pubblici. Nessun antifascista osò criticare la decisione dell’amministrazione comunale del 1953 di dedicare a Vincenzo Tecchio il piazzale antistante la Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, da lui realizzata nel 1940 come commissario di Governo in appena venti mesi per dotare la città di Napoli di un complesso architettonico annoverato tra le opere più importanti del movimento moderno europeo. Nessuna opposizione nonostante che l’avvocato Tecchio fosse stato un gerarca fascista, deputato della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, presidente della Camera di Commercio di Napoli e che, dopo l’8 settembre, avesse aderito alla Repubblica di Salò, che servì fedelmente come presidente dell’Iri. E nessun antifascista si oppose al ripristino della targa con la scritta “Anno 1936, XIV EF” (era fascista) sulla facciata dello stupendo palazzo delle Poste di piazza Matteotti, considerato l’ edificio più bello del nuovo rione Carità che negli anni ’30 ha rinnovato quest’area della città. Uno sussulto antifascista si è però avuto qualche anno fa quando venne rifatta la pavimentazione di piazzetta Fuga e venne rimossa la grande targa di ghisa con la scritta “1928- anno VI E.F”, posta a ricordo della funicolare centrale realizzata per collegare via Roma col Vomero. Una decisione idiota di cui non si è mai saputo il responsabile.