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Napoli si interroghi e accetti le critiche

Opinionista: 

S abato 31 agosto, mentre c’era il grande rientro in città dopo lo scialo estivo, una franca, puntigliosa e coraggiosa intervista di Ernesto Galli della Loggia, apparsa sul “Corriere del Mezzogiorno” a firma di Mirella Armiero, totalmente calata sui “mali odierni di Napoli, contraddizioni e declino”, ha aperto un vivace dibattito, ovviamente sul giornale che ha ospitato l’autorevole denuncia. Ma, anche in una parte cospicua dell’opinione pubblica, di gente comune, trascinata, come suol dirsi, per sentito dire. Della Loggia, intellettuale di prestigio internazionale, di origini napoletane, non sospettabile di alcun pregiudizio a meno che non lo si voglia vedere diversamente per la sua limpidezza e onestà di pensiero nel parlar chiaro, ha detto due cose, di indubbio riscontro, come vedremo in seguito, riassunte con particolare efficacia nel titolo dell’intervista. La prima: “Se non cambia Napoli, servono a poco le eccellenze culturali”, la seconda, nella riga a chiudere: “È in atto la camorrizzazione della borghesia”. Una riflessione, incalzante, che, nel corpo del testo, diventa una denuncia precisa: “Il ceto professionale - avvocati, notai, commercianti , eccetera - si trovano a dover lavorare con la camorra, perché della camorra sono i flussi finanziari dominanti la città. Le persone migliori, se ne sono andate negli ultimi trent’anni”. Apriti cielo! È subito pioggia di critiche: “Della Loggia sbaglia”, “Fa di ogni erba un fascio”, “È il solito pessimista”. “Napoli non si tocca: è una città unica”. Molti hanno manifestato contrarietà, ma, invece di soffermarsi e discutere sulle cause dei dolenti, penalizzanti limiti oggettivi della città, ancora una volta, hanno cercano di aggirare l’argomento con diversivi impropri, fuori luogo e con luoghi comuni, nulla da spartire con la gravità della questione napoletana, che tale è e rimane. Quanto ha detto oggi Galli della Loggia non è una novità, parte da lontano. Tra i primi a intuirlo e a preconizzarlo con il garbo che gli è da sempre congeniale fu Raffaele La Capria nel suo romanzo d’esordio e di successo “Ferito a morte” e nella successiva saggistica narrativa: “L’occhio di Napoli” e “L’armonia perduta”. Negli anni però più vicini a noi a dirlo pubblicamente sono stati eminenti figure istituzionali: Agostino Cordova, che pagò per averlo detto, l’ex prefetto di Napoli Alessandro Pansa, e via via, con sempre più frequenza illuminante e sconfortante per quanto veniva a galla, stessa cosa ribadirono il vice questore Pisani, che mise a nudo la gravità dei ceti professionali e produttivi compromessi: medici, avvocati, professori, dirigenti, commercianti. Uno degli ultimi procuratori di Napoli, Giandomenico Lepore, in un saggio con Nico Pirozzi dal titolo: “Chiamatela pure giustizia (Se vi pare)” , racconta in mondo capillare il salto di qualità dell’Antistato. “Sulla tolda del comando – scrive - non siedono più rozzi contadini analfabeti ma disinvolti professionisti che parlano due o tre lingue. Che conoscono Keynes e hanno letto Flaubert, degli abili manager che non hanno difficoltà a leggere un bilancio e che sanno destreggiarsi tra indici di borsa e investimenti. Accanto al titolo accademico che precede il nome, non è cosa affatto rara leggere un altisonante “On”, che non è una parola inglese ma un italianissimo: “Onorevole”. Ancora: le recenti esternazioni del Procuratore Nazionale Cafiero De Raho vanno oltre, invitando “a disfarsi dei luoghi comuni e di non credere più che tutto il male sia solo a Scampia ma anche in molti, insospettabili quartieri cosiddetti bene”. E non è finita: il 20 luglio scorso, l’annuale rapporto della Dia, pubblicato dai giornali napoletani e nazionali, è da brividi. Entrando nel dettaglio rivela che sono 41 le aree cittadine, controllate, una per una, da un clan di riferimento, con infiltrazioni e crescenti reclutamenti di colletti bianchi. Quanto basta, per ribadire, pur avendo dovuto tagliare altre testimonianze, che Galli della Loggia nella intervista al “Corriere del Mezzogiorno” non ha detto altro su Napoli che ciò che si sarebbe dovuto già sapere da tempo in città, non solo nei piani alti ma anche in quelli bassi. Si resta quindi sconcertati e annichiliti nel constatare che tutto questo invece di suscitare un desiderio di mobilitazione collettiva, abbia potuto destare solo sorpresa mista a rincrescimento. Come se fosse una novità, un fulmine a ciel sereno. Una calamità imprevista e non endemica. A riguardo, dobbiamo aggiungere che, nello stesso giorno, il 31 agosto, della intervista di Galli de La Loggia al “Corriere del Mezzogiorno”, ci hanno molto sorpreso alcune parole di Mario Martone, dette al “Giornale”, in occasione della Mostra del Cinema di Venezia. Il regista napoletano, nel raccontare la figura del personaggio centrale del suo film, Antonio Barracano, tratto dalla commedia di Eduardo Il Sindaco del rione Sanità ha detto che “in Barracano si fondono il bene e il male”. Precisando oltre che questi “non riflette altro che le due facce di Napoli, quella legalitaria e quella criminale, che si scontrano in una partita senza vincitori”, per poi concludere : “Ma attenzione, la città è una sola e nessuno può tagliarla in due”. Bene. Vien pero da obiettare a Martone: “Se è giusto non ghettizzare alcuno, è però ancora più giusto e doveroso sradicare il male. Dov’è. L’ambiguità teatrale è una cosa, può coesistere, altro è quella sociale, insostenibile. È tempo, in definitiva, di ragionare sullo stato reale delle cose, senza velleitarismi o scorciatoie ideologiche o da mito. La Dia nel rapporto recente ha anche detto che, dal 1993 ad oggi, per intenderci da quando Bassolino diventò sindaco di Napoli, nulla è cambiato. La politica a Palazzo san Giacomo e alla Regione non ha saputo approfondire e rimuovere le cause remote del declino odierno e delle sue degenerazioni, risalenti agli anni Ottanta, in seguito alla stretta petrolifera in Medioriente, alla conseguente deindustrializzazione, colpa anche della cecità delle Partecipazioni Statali e alla “critica” ricostruzione del post terremoto non immune da contaminazioni perverse, camorristiche. Qualcosa di sicuro si sarebbe potuto opporre a queste “tre calamità” se il grande successo del G8 del 1994, svoltosi nella nostra città, a lungo ribalta di un notevole trascinamento promozionale, il sindaco del tempo Bassolino si fosse impegnato a farlo fruttare meno per la sua immagine e più nel rilancio complessivo della città, mai avvenuto. Da allora abbiamo assistito a un festival ciclico di chiacchiere su progettualità di carta, che, pur annunciando di ripartire dalle periferie, Scampia, Secondigliano, Barra, Ponticelli, in realtà hanno lasciato le cose come stavano. Altrove, dopo gli anni della crisi industriale, molte amministrazioni, nel favorire la “economia del ripristino” hanno provveduto a saldare vecchi ritardi con reinsediamenti produttivi, poli tecnologici, imprese leggere, qui invece si è fatta “terra bruciata”. Bagnoli è uno scandalo infinito, il “giallo di due secoli” con centinaia di miliardi e bonifiche cruciali andati in fumo, e addirittura il rischio di dover ora ricominciare tutto daccapo. A questo giallo vanno aggiunti i sem pre più misteriosi approdi turistici di “Napoli Est”, fatta passare come la mondiale “riviera del sole e della nautica”, e poi anche questa un “sogno proibito”. In un’area che poteva diventare molto competitiva- ospitando 500 barche - essere un altro volano di sviluppo, ci troviamo un “mare di cacca” per la concentrazione di coliformi fecali, 200 volte i limiti di legge. Non sarebbe stato meglio dotarla di un termovalorizzatore? Galli Della Loggia intendeva dire tutto questo: e cioè che se la città non si modernizza, non offre servizi decenti e vivibilità, si mortifica la sua grande storia, la sua civiltà e le sue eccellenze. E di fronte a uno stallo conclamato a nulla vale neanche la promozione. Diciamo allora fino in fondo come sono giunte a stare le cose cosi, negli ultimi trent’anni. Napoli è stata governata- dal 1975 al 1983 e poi dal 1993 al 2019 da giunte di una sinistra policroma - comunista, postcomunista, ulivista, para-comunista, da “rivoluzione arancione”, sempre di un stesso seminato o affine, per solo sette anni: 84-85 e 87-92 da Dc e partiti intermedi. Di tutto questo avvicendarsi a Palazzo San Giacomo, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Napoli s’è impoverita dal centro alle periferie. Tre i sindaci: Bassolino, Iervolino e de Magistris, responsabili di quanto non fatto, ciascuno, naturalmente, per la propria parte. Per ripartire sul serio, occorre un’operazione verità, senza la quale non si costruirà nulla. Ernesto Galli della Loggia ci ha ricordato di farla. Questo vale per tutti: chi si candida, ricandida o toglierà il disturbo. Basta lamentazioni, si parta dai fatti reali, prima di accampare riserve o alibi sull’odierno declino.