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Prendiamo una pausa di riflessione o altro

Opinionista: 

Che il Presidente Mattarella abbia un modo diverso di gestire la problematica consultazione postelettorale, rispetto al suo predecessore Napolitano è evidente. È l'interpretazione dello stesso spartito, ma con una riscrittura che sembra godere di maggiori pause, di "incidenti" fatti di diesis e bemolle, un adagio contrapposto al vivace con moto. Quest'Italia becera e consumistica, sempre meno neolatina, sempre più barbara, ha bisogno di una pausa che non solo di riflessione ma di riscoperta dell'importanza del tempo, del confronto generazionale, di una maggiore attenzione alla lettura, di un salvifico distacco dal demone interiore che si materializza in quella dipendenza eroinococainica dal cellulare e sul web. La pausa di fine settimana per questo governo che verrà, se verrà, è densa di dubbi e riflessioni superflue, ma la compassata tranquillità che la pervade stride con i momenti di buio smarrimento di questa nostra gioventù afflitta da errati valori, vittima dell'inadeguatezza educativa delle proprie famiglie. Ci stiamo abituando alle morti senza senso che con monotonia dolorosa colpiscono i nostri giovani, i nostri figli. Nell'epoca dei selfie, privi di legame artistico o mnemonico con gli autoritratti famosi, spesso contraffatti tramite fotoshop per offrire un'immagine menzognera del nostro aspetto, secondo la moda del momento, stiamo assistendo alla distruzione dei nostri ideali e del futuro di intere generazioni. Beatrice, 15 anni, incapace di reagire al dramma della propria obesità, insultata, dileggiata vigliaccamente da "compagni" e sciacalli del web, si getta sotto un treno e tronca così la propria vita, non "all'altezza" del comune senso estetico. Purtroppo è soltanto la punta di un iceberg immanente sulla calma piatta di un oceano sociale, in cui i giovani non hanno smarrito la rotta, ma non l'hanno mai conosciuta. Siamo convinti che il disagio profondo che attanaglia la nostra gioventù ha almeno due radici malate: la frantumazione del concetto di famiglia solidale e comprensiva e l'incapacità cronica del ruolo educativo della scuola, sin dalle classi primarie. Siamo tutti schiavi della velocità del tempo, della supremazia dell'immagine rispetto a quella della mente e dello spirito. L'immediatezza mediatica poi non rende più giustizia ad una valutazione critica e ponderata della notizia, di una storia, delle cause e delle conseguenze possibili, costringendo tutti noi a soccombere in un tritacarne del pensiero e del libero arbitrio, a vantaggio di un globale plagio intellettuale, in cui volgarità ed ignoranza ottundono la ricerca sacrosanta della propria dignità e unicità, che si esaltano nel convivere delle diversità. In questa società conflittuale ed ipercompetitiva, essere obesi, soffrire di un qualsiasi handicap fisico o psichico, significa lottare, spesso uscendone tragicamente sconfitti, contro regole e archetipi tumorali che fagocitano inesorabili anima e mente. È il tributo iniquo che stiamo pagando a quel "moloch" chiamato progresso. In un'assurda guerra, genitori impreparati e pentiti delle libertà perdute, circuìti da falsi stilèmi di successo, combattono il cammino conoscitivo dell'istruzione scolastica. Docenti spesso demotivati e rancorosi capovolgono a loro volta il ruolo educativo ad essi assegnato, demandando all'ambiente familiare, spesso ignorante e distratto, l'insegnamento, il confronto critico fra docente e discente, riducendosi a semplici passacarte di una didattica fatta di una pletora di compiti a casa. Viene meno così il senso della comunità, nasce una deleteria competitività, a scapito di una partecipazione sodale, di un legame che potrebbe risultare decisivo nello sviluppo psicofisico degli alunni, nella complicità goliardica, unica terapia per l'innata insicurezza dei giovani. È il momento di fermarsi un attimo. Tocca a noi adulti, anziani e non, fare una pausa, guardarsi dentro e rivedere, con spietata autocritica, la lista delle nostre reali priorità, della nostra cultura affrettata, degli errati modelli esistenziali, dell'incapacità a capire i messaggi che i nostri figli ci inviano e del vuoto in cui sprofondiamo quando li perdiamo per sempre.