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Questa spaccatura non serve a nessuno

Opinionista: 

Dopo la dura requisitoria del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Davigo e la reazione non meno dura di Renzi, resta da chiedersi a chi giova tutto questo. Credo proprio a nessuno: non giova alla Magistratura che corre il rischio di essere accusata di ingerenza nella politica (colpendo al cuore uno dei pilastri di ogni regime democratico) e, specularmente, non giova neanche alla politica. Non mi soffermo sulle polemiche indotte dalle dichiarazioni di Davigo (che anche all’interno della magistratura ha suscitato critiche e perplessità: da Cantone a Gratteri e Bruti Liberati), anche perché mi pare pacata e ragionevole la dichiarazione del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Legnini, il quale si è mostrato preoccupato di un clima che può pericolosamente alimentare un conflitto del quale non solo la magistratura, ma l’intero paese non hanno bisogno. Che si plachino le polemiche e si provveda ai veri e concreti bisogni: riforme (si pensi innanzitutto al ritardo che sta accumulando la riforma della prescrizione), personale, mezzi, strutture, insomma ciò che occorre “per vincere la battaglia di una giustizia efficiente e rigorosa, a partire dalla lotta alla corruzione e al malaffare”. E, tuttavia, non mi pare che dai tanti commenti e interventi sia apparso l’emergere progressivo di un iceberg contro il quale prima o poi andrà a infrangersi la democrazia italiana che rischia di essere stritolata dallo scontro in atto tra parte della magistratura e vertici dell’esecutivo. Vedo cioè profilarsi un’alleanza inconsapevole tra giustizialismo, da un lato, e deriva personalistica e oligarchica della politica, dall’altro, entrambi alleati per abbattere i caposaldi della democrazia rappresentativa del nostro paese. La situazione di crisi oggettiva del principio costituzionale della rappresentanza è diventata manifesta in occasione dell’ultimo referendum cosiddetto delle trivelle. Sia i politici proponenti che il presidente del consiglio hanno utilizzato il risultato con evidenti forzature interpretative: i primi per dire che 13 milioni di italiani hanno votato contro il governo, il secondo per aver messo il cappello sul voto di astensione, tutto ricondotto a una manifestazione di consenso per sé e per il governo. Ciò che sembra sfuggire a tutti è la consapevolezza di una crisi pericolosa della democrazia costituzionale, caratterizzata innanzitutto dalla progressiva perdita di credibilità e di fiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni della democrazia rappresentativa. Il “tutti i politici sono ladri” del giustizialismo fa da pendant al progetto di una preponderanza dell’esecutivo sul legislativo, che deve passare attraverso la prova referendaria e la definitiva approvazione di norme che hanno come fine il progressivo svuotamento del ruolo delle istituzioni parlamentari provocato dalla centralizzazione leaderistica e dal diffondersi di ideologie presidenzialistiche. Si indebolisce sempre più uno dei cardini della democrazia rappresentativa e cioè il legame tra eletti ed elettori. Vi è in atto un processo di deresponsabilizzazione del rappresentante in molti casi non eletto ma nominato dalle élites dei partiti. Lo spazio al populismo montante (in Italia come in Europa) è aperto. Si tratta ora di vedere se una Costituzione che dura da quasi 70 anni nei suoi principi fondamentali, saprà resistere all’urto, anche rinnovandosi senza però perdere la sua essenza democratica.