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Risparmiato Matteo, il governo vada avanti

Opinionista: 

Sapevamo già come sarebbe andata a finire. Era troppo facile, fin troppo scontato. Pensare che la piattaforma Rousseau, direttamente controllata e privatamente gestita dalla Casaleggio Associati, potesse produrre un risultato a favore dell’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini era pura follia. Innanzitutto perché, in questi giorni, Conte, Di Maio e Toninelli si erano autodenunciati, manifestando la precisa volontà di condividere la sorte del ministro dell’ Interno. Poi perché, a questo punto, un voto contro Salvini sarebbe stato conseguenzialmente una chiara bocciatura sul governo, costringendolo ad immediate dimissioni (ed è una deriva che i pentastellati dovevano scongiurare). Terzo, perché al di là dei timori manifestati, nessuno, al di là di un semplice notaio, privo tra l’altro di un reale controllo informatico, in un sistema, del resto, più volte bucato dalla pirateria del web, avrebbe potuto certificare razionalmente questi risultati. Insomma, si è cercato di montare, in qualche modo, l’ipotesi di un’ attesa, si è parlato di scontro interno, di posizioni conflittuali, di tesi ortodosse e legittimiste, di un voto dalle mille incertezze ma, in realtà, tutto era abbondantemente deciso nelle sedi competenti. Vuoi per il sostanziale controllo che Di Maio ha, in questo momento, su larga parte degli iscritti, vuoi soprattutto per il modello organizzativo della piattaforma Rousseau. Il quesito, per il vero degno dei tanti referendum di questo strano Paese (vota no per dire sì al procedimento contro Salvini, vota sì per dire no) è servito sostanzialmente per spostare la patata bollente dalle mani della dirigenza e del gruppo parlamentare grillino a quelle degli iscritti, fornendogli la sensazione di contare realmente e di essere decisivi anche in chiave giudiziaria: una bufala. Anche perché il voto, al di là dei soliti ritardi e dei problemi manifestati, non ha una reale, solida certificazione ed internet, consentendo di votare ai soli iscritti da oltre sei mesi, non può essere nemmeno lontanamente sostitutivo della sovranità popolare. Tra l’altro, non dimentichiamolo, si vota in Senato, dove la responsabilità di ogni voto resta legata al singolo parlamentare, al di là delle scelte politiche o programmatiche del proprio partito, al di la di ogni e qualsiasi consultazione del web. Perché il centro della democrazia del Paese, al di là di tutto, deve restare il Parlamento, non certo internet. Beppe Grillo, fiutando il papocchio, ha provato a tirarsi fuori. Ha parlato di comma 22 (dall’omonimo romanzo di Joseph Heller che prefigura una scelta obbligata), di sindrome di Procuste (il tentativo di sminuire chi ha maggiori capacità e più talento), di una scelta politica che aggiunge il sarcasmo all’ironia. Ma, per una forza politica tradizionalmente favorevole a votare le richieste dei magistrati, questa inversione di tendenza, in sintonia con i risultati delle prossime Regionali (Sardegna, Basilicata, Piemonte), potrebbe incrinare la sua unità, indebolendo oggettivamente la sua posizione. E mentre gli stessi sondaggi nazionali viaggiano al ribasso, mentre l’immobilismo degli eterni No a qualsiasi, seria prospettiva di sviluppo (leggi Tav e Infrastrutture) appare un limite invalicabile, mentre su molti temi (Ponte Morandi, Tap e Autonomia Regionale) si promette senza mantenere, il percorso pentastellato appare oggi improvvisamente accidentato e sempre più ricco di ostacoli.