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Napoli 2500

Real Albergo dei Poveri, la memoria rivive in una mostra

L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 2 marzo 2026

Real Albergo dei Poveri, la memoria rivive in una mostra

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Si è tenuta oggi presso il Real Albergo dei Poveri di Napoli L’inaugurazione di Ancora qui. Prologo. L’Albergo dei Poveri e la memoria delle cose, a cura di Laura Valente, direttrice artistica di Napoli 2500. Pur all’interno di un programma ampio e variegato, questa mostra costituisce uno dei momenti più significativi delle Celebrazioni di Napoli 2500 del Comune di Napoli, fortemente voluta dal Sindaco Gaetano Manfredi. L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 2 marzo 2026 (ingresso gratuito su prenotazione).

Si tratta di un’apertura straordinaria, che consente al pubblico – per la prima volta – l’accesso al magnifico Refettorio monumentale del complesso, in un momento in cui i lavori di restauro sono ancora in corso. Una condivisione temporanea e preziosa di un luogo carico di storia, destinato a tornare a vivere in molti dei suoi spazi già dalla metà del 2026. 

«Questo appuntamento rappresenta un nuovo passo nel percorso di restituzione alla città di uno dei suoi luoghi più straordinari e simbolici. Il Real Albergo dei Poveri non è soltanto un capolavoro architettonico: è un manifesto dellidentità di Napoli, della sua storia sociale, del suo rapporto profondo con la solidarietà, linclusione e la cultura. Fin dal mio insediamento ho indicato il recupero e la valorizzazione del Real Albergo dei Poveri come una priorità strategica per la città, perché qui possiamo leggere al tempo stesso la memoria e il futuro di Napoli. Non a caso ho più volte sottolineato che lAlbergo dei Poveri aspira a rappresentare la Napoli che valorizza la sua storia proiettandosi verso il domani. Nellambito di Napoli 2500, la rassegna con cui il Comune di Napoli insieme a tantissimi  partner ha voluto celebrare i 2500 anni di Neapolis, questo appuntamento assume un valore ancora più forte: ci permette di riannodare i fili della nostra identità e restituire ai cittadini uno spazio pubblico che deve tornare a vivere. Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato per questo, e in particolare la direzione artistica di Laura Valente per aver dato al RAP la centralità in questo viaggio durato un anno» dichiara Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli.

Durante i lavori di ristrutturazione sono emersi numerosi reperti originali, appartenuti a chi visse tra queste mura: tracce materiali di un’umanità che il percorso espositivo valorizza e rilegge in chiave poetica e civile. Questi ritrovamenti dialogheranno con una serie di interventi artistici originali. Un omaggio alla vocazione educativa, formativa e sociale del Real Albergo dei Poveri (chiamato comunemente RAP), da sempre “fabrica del saper fare”.

Intrecciando arte contemporanea, fotografia, installazione e performance Ancora qui_Prologo cerca di restituire - attraverso i linguaggi del presente - il senso della memoria custodita in questo luogo. Un archivio in cammino, scandito dagli oggetti ritrovati durante i lavori di restauro in dialogo con opere di artisti del segno come Norma Jeane e Antonella Romano o maestri della fotografia come Mimmo Jodice e Luciano Romano. Documenti rari che testimoniano aspetti meno conosciuti della vita quotidiana al RAP. Dal 1781 quelle bambine e quei bambini impararono mestieri e furono educati "al fare": uscirono da questo luogo formati per essere calzolai, bandisti, scrivani, sarte, intagliatrici, ricamatrici e molto altro ancora. A cui si aggiungono un racconto originale della scrittrice Viola Ardone e una colonna sonora creata da una sintesi di voci  d’archivio e suoni contemporanei firmata da Massimo Cordovani.

In mostra: scarpe (adulti e bambini); oggetti vari: piatti, bicchieri, caffettiere, posate, letti, valigie, macchine da scrivere, preziosi documenti dell’esercito e altri reperti d’epoca. 

Molti i filoni narrativi: la nascita delle scuole dell’arte, la generosità dei donors (nel 1874 la famiglia Rothschild è tra quelle che sostiene questo ‘modello di inclusione sociale che insegna a saper fare’) ma anche la crudeltà del regime (si rasano le teste delle bambine fino al primo mestruo per poterle poi dare in moglie al miglior offerente delle classi agiate), l’investimento sulla lingua dei segni (il tema di un’allieva è una lama che definisce un contesto, un periodo ma anche il mondo di chi attraversa la vita senza parole). 

«Non è una mostra, né un museo. È un punto di partenza. Dal silenzio delle stanze dellAlbergo dei Poveri riemergono scarpine, ciotole, letti, frammenti di vita quotidiana. Oggetti semplici, ma capaci di restituire la presenza di chi qui ha vissuto, lavorato, atteso e  anche sognato. “Ancora qui” è il prologo di un percorso di ricerca e di racconto: un cammino che parte dalle cose ritrovate, un invito a riconoscere che la memoria non è mai conclusa, ma continua a formarsi e a parlare nel tempo, attraverso ciò che resta. Un lavoro che si costruirà, passo dopo passo, con nuove scoperte, nuovi sguardi, nuove memorie. Perché ogni oggetto, ogni traccia, ogni segno di vita è ancora qui — e continua a parlarci» Laura Valente, curatrice di “Ancora qui” e direttrice artistica di Napoli2500.

Voluto da Carlo di Borbone e da sua moglie Maria Amalia di Sassonia nel 1751 come rifugio per gli indigenti del Regno, L’Albergo dei Poveri (RAP) fu pensato da Ferdinando Fuga come il più grande edificio d’Europa. Un luogo di accoglienza e riscatto, non di reclusione. Re e regine, religiosi e architetti vi proiettarono l’utopia di una città che potesse redimere la propria miseria attraverso il lavoro e l’istruzione. Padre Gregorio Maria Rocco promosse una raccolta di donazioni per il sostegno del Real Albergo dei Poveri e per tutta la vita fu accanto agli ultimi, agli emarginati che non voleva nessuno.

Tanto che Alexandre Dumas così lo descrive alla sua morte: “Nel corso dell’anno 1782 morì a Napoli, in età di 82 anni, un monaco domenicano, più popolare, e più celebre pe’ suoi sermoni, di quel che non sono stati in Francia Flechier, Fenelon, Bossuet […]. Questo monaco si chiamava Padre Rocco. Egli era più potente a Napoli del Sindaco, dell’Arcivescovo, ed anche del Re”.

All’Albergo dei Poveri l’infanzia non aveva nome: orfani, abbandonati, figli di condannati. Le donne furono le prime lavoratrici invisibili: povere, abbandonate, “disonorate”, malate o prostitute. Entrate alla fine del Settecento, avviarono opifici e laboratori di guanti, fiori e spilli, motore silenzioso dell’istituto. Nel tempo, nuove autorità religiose e laiche ne controllarono le vite e i destini: poche ricevettero una dote, molte, troppe finirono a fare le cameriere a servizio della nobiltà e della borghesia.  Rimasto incompiuto, il “gigante” di via Foria continua a interrogare Napoli: un sogno di giustizia sociale scolpito nella pietra.  

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