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De Luca, il presidente che volle farsi re

È destinato a perdere, e lo sa. Da bravo dottore in filosofia e soprattutto, da imitatore di Crozza, ha capito che l’empatia è finita e che le sue litanie, una volta divertenti, ormai precipitano l’elettore a cambiare canale. O partito, o lista. Occhi fuori dalle orbite, le labbra serrate a trattenere l’ira che prorompe dal petto, Vincenzo De Luca da Salerno si è trasformato in odiatore seriale. Salvini, Di Maio, Di Battista. Fra un po’ Stefano Caldoro: tutti sfidati a duello, scelgano loro l’arma. Purché l’uomo dal ghigno d’oro trovi un’altra occasione di palcoscenico, visto che nemmeno il Pd se lo fila più, dopo cinque anni di autocrazia e magniloquenza, chiacchiere e distintivo. Dice di aver fatto questo e quello, risanato bilanci, fatto della sanità campana un modello mondiale (a quando le barelle con baldacchino?) oppure di aver organizzato l’evento sportivo del secolo, ovvero quelle Universiadi di cui non si è accorto nessuno tranne gli albergatori e gli affitta-1navi. Vincenzo il Salvifico era partito a razzo, cinque anni fa, annunciando il colpo di spugna sulla vergogna delle ecoballe. Che stanno ancora lì, dopo che il governo Renzi aveva stanziato centinaia di milioni per una operazione che ha prodotto solo un effetto nominalistico. Erano ecoballe, poi si sono chiamate rifiuti stoccati in balle, ora semplicemente: balle. La corte salernitana dell’uomo che volle farsi re della Campania, anticipando il mitico Antonio Albanese-Cetto Laqualunque monarca delle Due Calabrie, arranca tra buoni propositi, smarrimenti, occasioni perdute. In effetti nessuno di loro è autonomo in pensiero e azione, tutti devono riferire al Sole che Ghigna, il quale benedice o manda a quel paese a seconda del momento e dell’umore. Ditegli sempre di si, è scritto sullo stipite della porta che introduce alla sua stanza di via Santa Lucia. E lui elargisce (ovviamente soldi non suoi ma della comunità) accompagnando il gesto con quel minimo di sprezzo che sottolinea una compiaciuta superiorità. Più accentuata quando si tratta di Napoli, la capitale nei confronti della quale egli nutre una malcelata e tribale insofferenza. Guardatelo in Lira Tv, la sua sperduta e sottomessa tribuna mediatica. Sembra sempre più la brutta caricatura di Paolo Stoppa. Un grande attore che aveva fatto del ghigno opera d’arte. Si starà rivoltando nella tomba a guardare il suo tardo, incespicante e noioso epigono.

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