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Cassazione conferma la condanna a 16 anni, Stasi si è già costituito

Cassazione conferma la condanna a 16 anni, Stasi si è già costituito

Il pg aveva chiesto l'annullamento della sentenza d'appello, i giudici della Suprema Corte hanno convalidato la sentenza d'appello. Alberto Stasi si è già presentato in carcere accompagnato dal suo legale

ROMA. La Cassazione ha reso definitiva la condanna nei confronti di Alberto Stasi per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto del 2007. In particolare la V Sezione Penale, dopo appena poche ore di camera di consiglio, ha respinto sia il ricorso di Alberto Stasi che quello della procura generale di Milano che chiedeva per Stasi una condanna a 30 anni di reclusione contestando al giovane anche la crudeltà dell'omicidio.

Con questa decisione, la Suprema Corte ha messo la parola fine ad una vicenda giudiziaria iniziata 8 anni fa e ha convalidato la decisione della Corte d'assise d'appello di Milano del dicembre del 2014 che aveva condannato Stasi a 16 anni di reclusione.

Ieri il sostituto procuratore generale della cassazione aveva chiesto di annullare la condanna inflitta a Stasi.

Alberto Stasi si è costituito ed è andato in carcere dopo che la Cassazione ha reso definitiva la condanna nei suoi confronti per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto del 2007. In particolare la V Sezione Penale, dopo appena poche ore di camera di consiglio, ha respinto sia il ricorso di Stasi che quello della Procura generale di Milano che chiedeva una condanna a 30 anni di reclusione contestando al giovane anche la crudeltà dell'omicidio.

Con questa decisione, la Suprema Corte ha messo la parola fine a una vicenda giudiziaria iniziata 8 anni fa e ha convalidato la decisione della Corte d'Assise d'Appello di Milano del dicembre del 2014 che aveva condannato Stasi a 16 anni di reclusione.

LEGALI DELLA FAMIGLIA POGGI - La Cassazione ha "accertato la verità processuale" hanno commentato i legali della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni e Francesco Compagna. "Non si può parlare di soddisfazione - ha affermato Tizzoni - siamo davanti a una tragedia che riguarda una famiglia. Ma oggi bisogna dire che l'esito della Cassazione ha accertato una verità processuale". I legali della famiglia Poggi ritengono che il verdetto della Cassazione che conferma la condanna a Stasi senza le aggravanti della crudeltà non sia affatto una "sentenza a metà. E' la pena di chi ha scelto il rito abbreviato ma ciò che importa è che oggi sia stata accertata la verità del terribile omicidio di Chiara. Da parte nostra andremo avanti sempre nell'interesse della famiglia di Chiara".

LA DIFESA DI STASI - Ma per la difesa di Stasi quella della Cassazione è una "sentenza allucinante. Non si mette una persona in carcere senza una prova certa" è l'amaro commento. Alberto, come aveva spiegato il suo difensore Angelo Giarda, si è costituito spontaneamente ma Fabio Giarda, difensore di Stasi insieme al padre Angelo, all'uscita della Cassazione ha sottolineato: "Prendiamo atto della decisione ma Alberto andrà in carcere senza una prova certa e con una sentenza che è completamente illogica come aveva denunciato il sostituto procuratore generale della Cassazione ieri nella sua requisitoria".

La Cassazione, convalidando la condanna di Alberto Stasi, ha completamente disatteso le richieste della Procura generale della Cassazione che ieri, in una requisitoria senza precedenti tenuta da Oscar Cedrangolo, aveva chiesto di annullare la condanna nel caso la Corte avesse ritenuto che non c'erano "prove certe al di là di ogni ragionevole dubbio" a carico di Stasi o, viceversa, di accogliere la richiesta della Procura di Milano che chiedeva 30 anni per Stasi con le aggravanti della crudeltà e della premeditazione qualora avessero ritenuto che le prove contro Stasi fossero "oltre ogni ragionevole dubbio".

A detta della Procura, in ogni caso, ci sarebbero stati elementi sufficienti per annullare senza rinvio la sentenza di condanna poiché la sentenza d'appello bis aveva "travisato le risultanze processuali".

La Quinta sezione penale di piazza Cavour ha invece ritenuto di convalidare il giudizio dell'appello bis, condannando Stasi a 16 anni di reclusione. Bisognerà attendere il deposito delle motivazioni, ma è evidente che gli 'ermellini' rigettando sia il ricorso di Stasi che chiedeva l'assoluzione, sia quello della Procura milanese, che chiedeva il massimo della pena per chi ha scelto il rito abbreviato (30 anni), hanno ritenuto che la sentenza del dicembre 2014 fosse "priva di illogicità" e "ben motivata".

Nell'appello bis i giudici milanesi hanno accertato come prove a carico del commercialista 32enne sia le impronte sul dispenser portasapone nel bagno dei Poggi, sia il dna trovato sui pedali della bicicletta sequestrata. Inoltre, la Corte d'Assise d'Appello di Milano, due anni fa, ha ritenuto che Alberto avesse "fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine", oltre al fatto che, "come l'assassino, calza scarpe numero 42".

Alberto Stasi è colpevole. Il dubbio lungo più di otto anni si è sciolto nella pronuncia della Cassazione e mette fine a uno dei processi con rito abbreviato (ben cinque i gradi di giudizio) più controversi della storia recente. E' lui ad aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi, colpita a pochi passi dalla porta d'ingresso della villetta di via Pascoli a Garlasco, trascinata e gettata lungo le scale che portano in cantina.

E' il 13 agosto 2007 sul pavimento restano le tracce delle mani insanguinate della vittima, 26 anni, colpita più volte con un'arma sconosciuta. Indossa un pigiama estivo, è lei probabilmente ad aprire la porta a chi le toglie la vita. Nulla manca nell'abitazione per giustificare un tentativo di furto, non ci sono tracce di estranei.

E' l'allora laureando alla Bocconi, oggi 31 anni commercialista, a scoprire il corpo e su di lui puntano da subito le indagini. Tra perizie e consulenze di parte, tra nuovi esami chiesti dai giudici d'appello bis e sorprese durante il dibattimento, si arriva al colpo di scena di ieri quando è lo stesso pg della Cassazione a chiedere di annullare la sentenza di fronte a un caso con troppo ipotesi: dall'arma (forse un martello) al movente mai accertato. Oggi l'ultimo atto: i giudici della quinta sezione della Suprema Corte leggono il verdetto di conferma della condanna a 16 anni. Ecco gli elementi che hanno pesato sulla decisione.

SCARPE E TAPPETINI AUTO - In primo grado, secondo i periti, le scarpe indossate dall'imputato e consegnate il giorno dopo ai carabinieri si sono potute ripulire dopo aver calpestato il pavimento sporco di sangue di casa Poggi. Secondo altri periti, invece, è da escludere che il sangue secco, una volta pestato, si sia disperso. Inoltre, l'esperimento effettuato sui tappettini della Golf nera - l'auto usata per raggiungere i carabinieri dopo aver scoperto il corpo di Chiara - certifica che qualche traccia di sangue doveva restare sotto le suole di Alberto. Insomma le Lacoste 'immacolate' incastrano l'imputato.

LE BUGIE - Il racconto di Alberto non convince: la telefonata al 118 viene fatta non davanti alla villetta ma a pochi passi dalla stazione dei carabinieri come svela una voce in sottofondo. Stasi mente sul numero delle biciclette in possesso della sua famiglia e non spiega di aver lavorato alla tesi la mattina del delitto, secondo l'accusa. Non convince il racconto del volto "pallido" della fidanzata ricoperto invece di sangue quando i soccorritori trovano il corpo di Chiara. In un processo indiziario tutto questo non basta, per la difesa.

LE BICICLETTE - Il ritrovamento del Dna di Chiara sul pedale della bici bordeaux di Alberto porta al suo fermo, ma è su una bici nera vista da una vicina davanti a casa Poggi la mattina del delitto che si concentrano le indagini. L'allora 24enne invertì i pedali tra le due bici quando la stampa iniziò a scrivere che si cercava una bici nera è la tesi della parte civile; c'è una terza bici mai trovata per la pubblica accusa. Anche in questo caso, per la difesa, si tratta di ricostruzioni fantasiose.

IL PORTASAPONE E IL DNA - Una foto mostra che sul pigiama di Chiara ci sono quattro impronte di una mano dell'assassino: quando viene spostato il corpo la maglietta viene intrisa di sangue e addio ditate. Quella immagine però svela che chi ha ucciso si è sporcato e prima di scappare si è lavato. Lo dimostrano le impronte insanguinate delle scarpe dell'assassino numero 42 - lasciate davanti al lavabo in bagno -, mentre sul dispenser portasapone resta il sangue della vittima misto al Dna di Alberto.

L'ALIBI - Alberto sostiene di lavorare alla tesi di laurea mentre Chiara muore. Quello che si riesce a ricostruire è che accede al suo file alle 9.36, Chiara disattiva l'allarme di casa alle 9.12; in 23 minuti secondo accusa lo studente poteva uccidere la fidanzata. Finestra temporale troppo ridotta invece per la difesa: nessuna prova che Alberto sia uscito di casa a quell'ora, né che Chiara sia morta in quell'arco di tempo.

IL MOVENTE RESTA UN MISTERO - E' nella relazione di coppia che si scava per trovare un movente. Chiara era diventata una presenza "ingombrante e inutile", forse un ostacolo per le sue perversioni: la vittima avrebbe scoperto - è solo una teoria dell'accusa - le numerose foto pornografiche presenti nel computer del fidanzato. Una "mera ipotesi", di fronte a un movente mai accertato ribatte la difesa, parole condivise ieri dall'accusa.

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