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18 Aprile 2016 - 17:21
Il senatore a giudizio per il fallimento della società che pubblicava "Il Giornale della Toscana"
Il senatore Denis Verdini è stato rinviato a giudizio stamani dal gup del Tribunale di Firenze, Dolores Limongi, per il fallimento della Società Toscana di Edizioni (Ste), che pubblicava "Il Giornale della Toscana" fino all'ottobre 2012. L'accusa è di bancarotta aggravata. La prima udienza del nuovo processo per il parlamentare di Ala inizierà il 14 marzo 2017. Con quello di oggi, è il sesto rinvio a giudizio per Verdini in due anni, quattro dei quali per vicende collegate alla Ste.
Verdini, secondo l'atto di accusa della Procura di Firenze, è imputato nella sua veste di socio di maggioranza e "amministratore di fatto" della società editrice. Con Verdini sono stati rinviati a giudizio anche il deputato di Ala Massimo Parisi, ex coordinatore regionale toscano di Forza Italia e già amministratore delegato della Ste, Girolamo Strozzi Guicciardini, ex presidente del consiglio di amministrazione della Ste, Enrico Luca Biagiotti, ex membro del cda, e Pierluigi Picerno, ex amministratore delegato e poi liquidatore della Ste dichiarata fallita nel febbraio 2014.
Tutti e cinque gli imputati sono accusati in concorso di bancarotta fraudolenta, perché, secondo il pm Luca Turco, mentre la Ste era in stato di insolvenza avrebbero compiuto atti di distrazione di capitali dal suo patrimonio quando già era in grave perdita.
Per la Procura, tra le circostanze che avrebbero provocato il fallimento della Ste comparirebbe un'operazione da 2 milioni e 600mila euro, somma che sarebbe finita nei conti correnti di Verdini e di Parisi per 1,3 milioni ciascuno.
Verdini stamani era presente all'udienza e si è difeso contestando la ricostruzione della Procura, facendo presente che l'operazione è stata corretta e funzionale alle attività patrimoniali della Ste, che non avrebbe subito alcun danno.
L'avvocato Massimo Rocchi, difensore di Verdini, ha sostenuto che, in base alla giurisprudenza, si è di fronte ad un caso di bancarotta "riparata", e quindi non ci sarebbe reato, dato che due anni prima del fallimento sono rientrati non 2,6 milioni di euro ma ben oltre 5 milioni.
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