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Cutolo, la moglie: «Ci è stato negato anche di toccare il corpo»

Cutolo, la moglie: «Ci è stato negato anche di toccare il corpo»

Minaccia, violenza privata e abuso d'ufficio. Questi i reati ipotizzati nell'esposto-denuncia presentato al procuratore di Parma da Immacolata Iacone, moglie di Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata detenuto al 41 bis e morto a 79 anni lo scorso 17 febbraio all'ospedale di Parma, dove era ricoverato. Nell'esposto-denuncia, Iacone ricostruisce quanto avvenuto dopo la morte di Cutolo e quelle che a suo dire sono le limitazioni subite da chi ha impedito a lei e alla figlia 13enne «di porgere in maniera adeguata e conforme alle legittime esigenze di persone professanti la religione cristiana l'ultimo saluto al proprio caro».

Iacone ricorda di essersi recata a Parma giovedì 18 febbraio e di aver atteso tutto il giorno che fosse concessa a lei e alla figlia la possibilità di porgere l'ultimo saluto alla salma del proprio caro, possibilità concessa dal pm ma con l'autorizzazione di «una brevissima visita alla salma» solo «la mattina di sabato», due giorni dopo la morte del marito, e «nelle fasi immediatamente preliminari alle operazioni di autopsia». 

L'autorizzazione da parte del pm conteneva «limiti di carattere temporale» e «recava delle prescrizioni circa le modalità di effettuazione che rappresentavano veri e propri limiti alla libertà personale e di autodeterminazione della scrivente e della propria figlia nell'esercizio del proprio legittimo diritto di familiari di rendere adeguatamente, in conformità alle regole e alle consuetudini della religione cristiana, l'ultimo saluto al proprio caro defunto».

La visita, si legge nell'esposto-denuncia, è avvenuta «a distanza e in presenza di più operatori di polizia giudiziaria», senza la possibilità di «alcun contatto fisico con la salma» e con il divieto di «prelevare o poggiare alcunché sulla salma. In verità - scrive Iacone - più che far visita a un defunto, io e mia figlia siamo state costrette a guardare a distanza il nostro caro, in tal modo non potendo esercitare liberamente il proprio diritto di familiari superstiti».

Iacone chiede quindi «di verificare» se «la condotta» del pm «può configurare il delitto di violenza privata ed eventualmente quello di abuso d'ufficio». La situazione, secondo Iacone, «non è migliorata dopo l'autopsia». Nonostante il provvedimento emesso dal pm di Parma con il quale comunicava il «nulla osta alla consegna ai familiari del cadavere di Cutolo», Iacone riferisce che «gli agenti di polizia giudiziaria presenti presso l'ospedale di Parma, di cui si chiede l'identificazione, neanche consentivano alla scrivente e alla propria figlia di avvicinarsi, toccare, accarezzare, baciare il corpo del proprio congiunto o di apporre sul medesimo quantomeno un'immagine sacra, ancora una volta limitando la libertà personale, consentendo solo di guardare, a distanza e per pochi minuti, il cadavere prima che venisse definitivamente riposto e sigillato all'interno della bara».

Secondo la moglie di Raffaele Cutolo gli agenti «si rendevano autori di violenza privata e di abuso d'ufficio, poiché l'esercizio del potere sfuggiva a qualsivoglia disposizione di legge». L'atto è stato rimesso anche al Consiglio superiore della Magistratura «al fine di verificare, in relazione all'operato del pm, la sussistenza altresì di condotte rilevanti dal punto di vista disciplinare». 

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